Come denunciare lo sfruttamento sul lavoro

1.11.2022
Danno Differenziale

Eri in uno stato di grave difficoltà e sei stato costretto ad accettare un lavoro a condizioni particolarmente svantaggiose, lavori sempre dodici ore al giorno, tutti i giorni e non ti vengono pagati gli straordinari? Oppure sei stato assunto in nero con la scusa che dovevi prima fare un periodo di prova, ma nulla è cambiato e il tuo datore di lavoro non ti ha mai proposto la firma di un contratto di lavoro regolare e lavori 12 ore al giorno venendo pagato troppo poco?

Forse possiamo darti una mano. Come dici? Non credi? Ebbene, dedica qualche minuto del tuo tempo alla lettura di questo tutorial e ti dimostreremo che la legge italiana prevede diverse forme di tutela per chi viene sfruttato sul lavoro, basta conoscerle ed è quello che cercheremo di fare in questa guida.

Il lavoro gravemente sfruttato è ancora un fenomeno poco conosciuto e scarsamente individuabile, ma in modo quasi impalpabile è penetrato in tutti i settori economici tradizionali. Il totale assoggettamento della persona è la forma più grave, ma nel nostro paese si riscontrano situazioni in cui un grave sfruttamento lavorativo compromette seriamente la dignità e la capacità di autodeterminazione degli individui. Ad esempio quando i lavoratori percepiscono un compenso che spesso non raggiunge la metà dei livelli minimi salariali previsti, o quando l'orario va addirittura oltre le quindici ore giornaliere. Le sottili forme di violenza e di minaccia dei datori di lavoro, la mancanza di informazioni sui propri diritti, la necessità di acquisire un reddito ad ogni costo, o, semplicemente, la disperazione fanno sì che queste condizioni vengano spesso tollerate

Detto ciò, non ci resta che augurarti buona lettura e farti un grosso in bocca al lupo per tutto!

La legge prevede dei limiti massimi di svolgimento dell’attività lavorativa, se il datore di lavoro non li rispetta è soggetto alla applicazione di sanzioni amministrative e nei casi più gravi a sanzioni penali. Il lavoratore ha una tutela civilistica, può chiedere il pagamento della retribuzione e della contribuzione per le ore di lavoro effettivamente svolte e nei casi più gravi può richiedere in aggiunta il risarcimento dei danni.

Le regole sull’orario di lavoro, straordinari, pause, riposi, ferie e lavoro notturno

La legge stabilisce che mediamente il dipendente non può lavorare più di 48 ore alla settimana compresi gli straordinari (art. 4 Decreto legislativo 08/04/2003, n. 66), mentre per quanto riguarda le modalità di fruizione del lavoro straordinario la legge (art. 5 Decreto legislativo 08/04/2003, n. 66) stabilisce che le regole devono essere fissate dalla contrattazione collettiva (cioè agli accordi fra associazioni dei datori di lavoro e sindacati dei lavoratori che hanno forza di legge). Spesso i contratti collettivi per singolo settore stabiliscono un tetto massimo agli straordinari ed una maggiorazione percentuale sulla retribuzione straordinaria, ad esempio il contratto collettivo nazionale di lavoro domestico  stabilisce agli artt. 15 e 14 che il lavoro straordinario è quello che viene prestato oltre le 8 ore giornaliere e le 40 ore settimanali, svolte su 5 o 6 6 giorni ed è prevista una maggiorazione del 25%, se viene prestato dalle ore 6.00 alle ore 22.00; del 50%, se prestato dalle ore 22.00 alle ore 6.00; del 60% se prestato in un giorno festivo.

Se i contratti collettivi non hanno regolamentato il lavoro straordinario del tuo settore di lavoro allora la legge (art. 5 Decreto legislativo 08/04/2003, n. 66) prevede che il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le duecentocinquanta ore annuali.

Quindi, di norma non è possibile che ti venga richiesto di lavorare per più di 48 ore settimanali e più di 250 ore annuali e comunque l’orario straordinario che ti viene chiesto di svolgere deve essere retribuito con le maggiorazioni previste dal contratto collettivo.

La legge stabilisce anche un tetto minimo inderogabile per le pause ed i riposi. Ad esempio è stabilito che il lavoratore ha diritto di fruire di 10 minuti di pausa se il lavoro ha durata superiore alle 6 ore (art. 7 Decreto legislativo 08/04/2003, n. 66). Ad esempio se lavori part time per 4 ore al giorno non avrai diritto ai 10 minuti pausa, se lavori per 7 ore al giorno invece si.

E’ obbligatorio anche fruire di almeno undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore, quindi fra un giorno di lavoro e l’altro deve esserci uno stacco di almeno 11 ore (art. 7 Decreto legislativo 08/04/2003, n. 66). Ad esempio se finisci di lavorare alle ore 22 non puoi iniziare a lavorare prima delle ore 9 del giorno successivo.

Oltre ai riposi giornalieri la legge stabilisce che il lavoratore deve fruire di almeno 24 ore di riposo per settimana di lavoro (art. 9 Decreto legislativo 08/04/2003, n. 66).

Inoltre, il lavoratore deve fruire di almeno 4 settimane di ferie all’anno, che possono essere monetizzate solo al momento della risoluzione del rapporto di lavoro (art. 10 Decreto legislativo 08/04/2003, n. 66).

Se il datore di lavoro viola le regole sui limiti dell’orario di lavoro settimanale (di massimo 48 ore) e sui riposi settimanali di almeno 24 ore viene punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 750 euro, se i lavoratori sono più di 5 la sanzione amministrativa è da 400 a 1.500 euro, se i lavoratori sono più di dieci la sanzione amministrativa è da 1.000 a  5.000  euro (art. 18 bis Decreto legislativo 08/04/2003, n. 66).

Se il datore di lavoro viola la regola sui riposi giornalieri viene punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 50  a 150 euro, se i lavoratori sono più di 5 la sanzione amministrativa è da 300 a 1.000 euro, se i lavoratori sono più di 10 la sanzione amministrativa è da 900 a 1.500 euro.

Se il datore di lavoro viola la regola sulle quattro settimane di ferie all’anno per il dipendente la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 600 euro, se i lavoratori sono più di 5 la sanzione amministrativa è da 400 a 1.500 euro, se i lavoratori sono più di 10 o si è verificata la violazione nell’arco di 4 anni la sanzione amministrativa è da 800 a 4.500 euro.

Per quanto riguarda, invece, il lavoro notturno la legge si limita solo a vietare a determinati soggetti il lavoro dalle ore 24 alle 6, cioè alle donne dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.  Mentre possono essere adibiti a lavoro notturno solo se consenzienti:

a) la lavoratrice madre o il padre di un figlio di età inferiore a 3 anni;

b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico   genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12 anni;

c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Se il datore di lavoro viola le regole sui limiti alla adibizione del lavoratore al lavoro notturno viene punito in sede penale con l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 516 euro a 2.582 euro.

Le tutele civili per il lavoratore nel caso di omesso pagamento di retribuzione, straordinari, pause, riposi, ferie e lavoro notturno

In tutti questi casi se sei vittima di queste violazioni o sei vittima del mancato pagamento della retribuzione in che modo ti puoi comportare?

Ebbene, tutte le violazioni possono essere denunciate all’ispettorato territoriale del lavoro più vicino al luogo in cui hai lavorato, che avrà l’obbligo di procedere per accertare i fatti che hai denunciato, in questo caso potrai ottenere solo la punizione del datore di lavoro (con sanzione amministrativa o penale a seconda dei casi) che ha violato le regole che ti abbiamo indicato.

Se vuoi anche ricevere tutela per il pagamento delle ore superiori a quelle lavorate ti consigliamo prima di tutto di elaborare un conteggio delle tue spettanze, tramite una associazione sindacale o un consulente del lavoro, e poi le strade possibili da seguire sono due. Potrai rivolgerti con il conteggio all’ispettorato territoriale del lavoro più vicino al luogo in cui lavori e chiedere di procedere con una diffida accertativa. In questo caso se l’ispettorato del lavoro accerta differenze retributive a favore del lavoratore ne intima il pagamento al datore di lavoro e se costui entro 30 giorni non provvede al pagamento o non si oppone con ricorso la diffida accertativa diviene titolo esecutivo. In altre parole avrà valore analogo ad una sentenza ed il datore di lavoro sarà obbligato a pagare l’importo in essa indicato.

In alternativa alla diffida accertativa potrai sempre agire, questa volta tramite un avvocato, con gli ordinari rimedi in sede giudiziaria (ricorso di lavoro) per chiedere il pagamento delle spettanze omesse.

I danni risarcibili nel caso di superlavoro

Nel caso di superlavoro cioè quando svolgimento della prestazione lavorativa eccede la normale tollerabilità, ovvero si sia protratta per diverso tempo ed esorbitante rispetto ai limiti orari massimi previsti dalla legge (d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66) o dalla contrattazione collettiva per il lavoro straordinario (Cass. 10 maggio 2019, n. 12540) o svolta secondo turni di lavoro eccessivamente pesanti (Cass., 8 maggio 2014, n. 9945) o senza la fruizione delle pause e dei riposi giornalieri, di quelli settimanali o delle ferie annuali (Cass., 14 luglio 2015, n. 14710 ) o, comunque, “in condizioni di particolare gravosità” (Cass., 4 gennaio 2018, n. 93) il lavoratore ha diritto di chiedere il risarcimento dei danni.

Attenzione però: per ottenere il risarcimento non è sufficiente dimostrare la costante violazione del datore di lavoro delle regole minime in materia di straordinario, pause e riposi, ma è necessario per il lavoratore dimostrare che da tali condizioni di lavoro sia derivato un danno alla salute medicalmente apprezzabile (Cass. 15 aprile 2014, n. 8804).

Nel caso in cui dal superlavoro non sia derivato alcun danno alla salute per il lavoratore ad esempio per la particolare resistenza fisica del dipendente oppure perché il rapporto di lavoro ha avuto una breve durata puoi chiedere lo stesso il risarcimento dei danni? In due soli casi i giudici ritengono che al lavoratore spetti un risarcimento nel caso di superlavoro anche in assenza della prova di alcun danno, ciò accade quando il lavoratore viene fatto lavorare oltre il settimo giorno senza fruizione del riposo compensativo in altro giorno della settimana. In questi casi oltre alla maggiorazione riconosciuta di solito in base ai contratti collettivi per il lavoro svolto la domenica spetta al lavoratore anche un risarcimento del danno Cass. 29 dicembre 2021, n. 41889). Una seconda ipotesi di risarcibilità del danno da superlavoro anche in assenza di prova del danno si verifica quando il datore di lavoro viola la regola sulle ferie annuali. Si parla in questi casi di danno da “usura psicofisica”, in caso di violazione del diritto al riposo settimanale (definito anche “lavoro nel settimo giorno”) e alle ferie annuali: si tratta di violazione di diritti che trovano la loro origine nell’art. 36, terzo comma Cost. ed il danno può essere risarcito già solo per la violazione della disciplina sulle ferie e sui riposi settimanali, senza necessità che sia documentato un danno medicalmente apprezzabile.

Il reato di sfruttamento del lavoro il nuovo art. 603 bis del codice penale

Nelle ipotesi più gravi lo sfruttamento del lavoro può essere anche un grave reato per il datore di lavoro che lo commette e che viene punito dall’art. 603 bis c.p. con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore sfruttato.

L’art.603 bis del codice penale è stato introdotto dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, che aveva coniato il reato di cd “caporalato”, che puniva l’intermediario reclutatore, in forma organizzata, quando la manodopera reclutata era in condizioni di sfruttamento ed il reclutamento avveniva mediante violenza o minaccia o intimidazione ed approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.

Questa disciplina era pensata per il fenomeno noto del caporalato e puniva solo chi reclutava in dipendenti per destinarli a lavorare da altri in condizioni di sfruttamento. Veniva punito quindi l’intermediario, ma non veniva punito il datore di lavoro che si giovava della manodopera procuratagli dall’intermediario ed in condizioni di sfruttamento. Fra l’altro per la punizione dell’intermediario reclutatore non bastava che i lavoratori fossero in condizione di sfruttamento, ma occorrevano ulteriori condizioni: bisognava che i lavoratori fossero reclutati con la violenza e la minaccia o intimidazione, quindi non si applicava alle intermediazioni «silenti» ossia il reclutamento di persone che accettano il reclutamento per essere sfruttati non perché minacciate, ma solo perché in stato di bisogno, senza altre alternative valide sul mercato del lavoro (ad esempio lo straniero senza permesso di soggiorno che non può lavorare in regola e quindi è costretto ad accettare ogni forma di lavoro anche particolarmente sfruttato oppure le persone in età avanzata che sono di fatto fuori dal mercato del lavoro). Ulteriore condizione richiesta era costituita dalla circostanza che l’intermediario non fosse un “lupo solitario”, ma fosse organizzato (cosa che si verificava agevolmente quando il caporale faceva parte di una consorteria mafiosa ad esempio).

Il reato così come concepito nel 2011 ha avuto scarsa applicazione per ragioni evidenti: le modalità più diffuse e subdole di sfruttamento, attuate senza ricorrere necessariamente alla violenza, alla minaccia o all'intimidazione, oppure da parte di soggetto non apparentemente alla criminalità organizzata oppure lo sfruttamento operato dal solo datore di lavoro senza intermediario rimanevano impunite.

Proprio per ovviare alla sostanziale inutilità della disciplina la l. 29 ottobre 2016, n. 199, in vigore dal 4 novembre 2016, che ha modificato l'art. 603-bis c.p. Ora al fianco del reato commesso dall’intermediario (reato di caporalato) si punisce anche lo sfruttamento posto in essere dal datore di lavoro utilizzatore (reato di sfruttamento del lavoro), inoltre non è più necessario che l’intermediario sia organizzato, né è più necessario che il reclutamento dei lavoratori avvenga con violenza o minaccia.

Con il nuovo reato di sfruttamento del lavoro si punisce il datore di lavoro che sfrutta i lavoratori approfittando del loro stato di bisogno. La legge esplicita che cosa si intende per sfruttamento dei lavoratori:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato.

2) la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimana/e, a/l'aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. Si pensi ad esempio a lavoratori che siano stipati in alloggi senza poter godere dello spazio minimo vitale.

Basta che vi sia uno solo di questi indici per ritenere sussistente il reato da parte del datore di lavoro o dell’intermediario, ad esempio è stato condannato l’imprenditore che abbia omesso di retribuire il dipendente secondo CCNL rispetto dell'orario di lavoro previsto da CCNL anche solo per due giorni (Cassazione Penale Sezione 4 n 10188 del 18/02/2021 ).

Ad esempio è stato ritenuto configurato il reato nel caso di:

datore di lavoro che retribuiva un dipendente con paga oraria compresa fra 1,67 e 5,51 euro, diversamente da quella prevista CCNL e se è redatta una falsa busta paga recante un orario ridotto rispetto a quello osservato (Cassazione Penale Sezione 4 Sentenza n. 6894 del 3/2/2021 );

datore di lavoro che impiegava manodopera senza permesso di soggiorno, con retribuzioni sproporzionate, controllo con l'utilizzo di tablets e minaccia di licenziamento (Cassazione Penale Sezione Quarta Sentenza 28/10/2021 n 38630);

datore di lavoro che violava le norme sulla sicurezza, orario, retribuzione, permessi, e decurtava "obbligatoriamente" parte del compenso e faceva permanere i lavoratori in una situazione alloggiativa penosa (Cassazione Penale Sezione 4 n 27582 del 16/9/2020);

nel caso di orario di lavoro effettivo pari a 13 ore non corrispondenti alle sole 4 ore indicate nel contratto, non vi fosse una corrispondenza tra la retribuzione e la quantità di lavoro realmente prestata, fosse ravvisabile una situazione di bisogno di taluni dei soggetti assunti, vi fossero delle ritorsioni nei confronti dei lavoratori sindacalizzati ed irregolarità a scopo punitivo in tema di pagamenti (Cassazione Penale Sezione 5 Sentenza 13/5/2022 n 24923)

Per quanto riguarda lo stato di bisogno del lavoratore, si tratta di una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose. Ad esempio si tratta della condizione delle vittime non più giovani e/o non particolarmente specializzate e, quindi, prive della possibilità di reperire facilmente un'occupazione lavorativa (Cass. pen., Sez. IV, Sent., (data ud. 16/03/2021) 22/06/2021, n. 24441  ; Cass, Sez. IV, 10.3-24.6.2022, n. 24388). Nello stesso senso quella giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto che l'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori possa ricavarsi dalla condizione di clandestinità degli stessi, che li rende disposti a lavorare in condizioni disagevoli ( Cass Pen., Sez. V, 12.1-20.4.2018, n. 17939).

In conclusione per i casi di maggiore gravità e sfruttamento sui luoghi di lavoro se sei stato costretto ad accettare le sopradescritte condizioni macroscopicamente svantaggiose a causa di uno stato di bisogno derivante possibilità di reperire facilmente un'occupazione lavorativa è possibile denunciare penalmente chi lucra sulla tua condizione di debolezza, sia esso il tuo datore di lavoro o un intermediario. In questi casi il consiglio è quello di rivolgersi alle forze dell’ordine per denunciare in modo specifico i fatti accaduti.

Per maggiori informazioni per proporre denuncia consulta il sito della Guardia di Finanza oppure della Polizia di Stato oppure dei Carabinieri

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