E' caporalato la condotta di una società di distribuzione di giornali che si avvale della intermediazione di comodo di un'altra impresa non iscritta all'albo delle agenzie del lavoro, con utilizzo dei lavoratori in regime di sfruttamento

Cassazione Penale Sezione 5 Sentenza 13/5/2022 n 24923
Caparalato e somministrazione del lavoro irregolare
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Cassazione Penale Sezione 5 Sentenza 13/5/2022 n 24923

RITENUTO IN FATTO
1. Con decisione del 21 dicembre 2021 e ordinanza depositata in data 23
dicembre 2021, il Tribunale di Udine, quale giudice del riesame, ha confermato il
provvedimento di sequestro probatorio eseguito in data 13 dicembre 2021 a
seguito di decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura della
Repubblica di Udine nei confronti del ricorrente , legale
rappresentante della società XXX s.r.I., avente ad oggetto documentazione e
dispositivi informatici per il reato di cui all' art. 603 bis cod. pen., avuto riguardo
al delitto di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), in
Campoformido con condotta perdurante.

Il decreto di perquisizione e sequestro era finalizzato a riscontrare l'ipotesi
accusatoria che considera la XXX s.r.I., società di distribuzione di giornali e
riviste, quale società che si avvale della intermediazione di comodo di un'altra
impresa (XXX), non iscritta all'albo delle agenzie autorizzate all'appalto di
manodopera, con il conseguente indistinto utilizzo dei lavoratori, pur nel
diversificato trattamento economico e contrattuale.
2. Avverso l'ordinanza indicata ha proposto ricorso XXX con
atto sottoscritto dal difensore di fiducia, ed articolato nei motivi, di seguito
enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la mancanza di motivazione,
vizio già presente nei decreti di perquisizione personale, domiciliare e locale, in
violazione degli artt. 125 e 247 cod. proc. pen. che prescrivono specifica
motivazione sui presupposti che legittimano l'attività intrusiva, non potendosi il
decreto limitare alla indicazione del titolo di reato in ipotesi violato con un mero
rinvio per relationem alla informativa di reato, peraltro non allegata al decreto
medesimo.
2.2 Con il secondo motivo si lamenta l'assenza di motivazione in relazione alla
sussistenza del fumus del reato in contestazione.
L'ordinanza impugnata ha evidenziato che il tribunale è chiamato a verificare
solo la sussistenza della astratta configurabilità del reato non già nella prospettiva
di un giudizio di merito sulla fondatezza dell'accusa. Siffatta motivazione, a parere
del ricorrente, risulta errata dal momento che è obbligo del Tribunale del Riesame
valutare gli elementi prodotti dalla difesa ai fini della verifica circa la effettiva
sussistenza del fumus del delitto per il quale vi è iscrizione.
A tal riguardo tra gli elementi sommariamente richiamati nell'ordinanza
impugnata, ne manca uno decisivo che non ha formato oggetto di valutazione e
che è relativo agli estratti conto bancari dei lavoratori denuncianti che percepivano
circa 2000/2500,00 euro al mese, somme incompatibili con ipotesi di capolarato e
di sfruttamento del lavoro.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione di legge dovendosi
ritenere il disposto sequestro quale sequestro esplorativo finalizzato alla ricerca di
notizie di reato e non di elementi di prova.
In particolare attraverso lo specifico richiamo per relationem alla
comunicazione della notizia di reato, si è operato un implicito riferimento alla
normativa di cui al D.Ivo 74/2000 e dunque alla emissione di fatture per operazioni
inesistenti, pur non essendovi una notizia di reato sulla specific:a fattispecie.
3. In data 27 aprile 2022 il ricorrente ha depositato ulteriore memoria con la
quale, nel ribadire i motivi di doglianza in precedenza espressi nel ricorso, ha
evidenziato altresì che dalla lettura delle dichiarazioni rese dai sei lavoratori

denuncianti e dalle condotte successive e documentate dalla difesa emerge non
solo la insussistenza dei cd. indici di sfruttamento necessari per configurare il reato
di capolarato, ma risulta altresì evidente la strumentalità della iniziativa intrapresa
dai lavoratori.
L'ordinanza impugnata, ribadisce la difesa del ricorrente, ha solo parzialmente
risposto alle obiezioni difensive supportate da idonea documentazione limitandosi
a ritenere che in questa fase non spetti al giudice della impugnazione cautelare
verificare il merito della vicenda sottoposta alla sua attenzione, quanto unicamente
ravvisare i presupposti in termini di fumus che giustificavano l'attività intrusiva al
fine di ricerca della prova.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico.
2.1. Va premesso che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in
materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo
per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in
iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da
rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza
e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice
(Sez. U, sentenza n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692; nello stesso senso, ex
multis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
2.1.1. Sullo specifico primo motivo di censura va osservato che la
motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è legittima anche
quando il richiamo ad altro atto o provvedimento sia solo implicito, purchè siano
rispettate le condizioni già indicate dalle S.U. con la sentenza 1.7/2000 (Primavera
e altri). Infatti la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è
da considerare legittima quando:
1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del
procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di
giustificazione propria del provvedimento di destinazione;
2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto
sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e
ritenute coerenti con la sua decisione;
3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel
provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile,
quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà divalutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame, conseguentemente, di
controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione. (ex multis Sez.2
n.55199 del 29/05/2018, Salcini, Rv. 274252 )
Nel caso in esame il ricorrente lamenta che la condizione sub 3) non appaia
rispettata, perché non risulta che la "nota" della Guardia di Finanza sia stata
allegata al decreto di perquisizione e sequestro (neppure per estratto), né risulta
che la difesa abbia avuto modo di prenderla in esame al momento della
esecuzione.
2.1.2 Dalla lettura del provvedimento di perquisizione e sequestro può
escludersi che la motivazione del provvedimento impugnato possa considerarsi
una motivazione unicamente "per relationem". Se è vero che il decreto impugnato
opera un espresso riferimento agli accertamenti della Guardia di Finanza di Udine
compendiati nella informativa del 20 luglio 2021 non allegata [..sulla scorta degli
accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza Compagnia di Udine di cui alla nota
nr. 131279/2021 di data 20/07/2021.J, tuttavia il provvedimento non si limita a
richiamare la citata informativa, ma prosegue nella motivazione fornendo delle
indicazioni, al di là del mero richiamo al titolo di reato per il quale vi è iscrizione e
alla data e ai tempi dell'accadimento, argomentando in relazione alla sussistenza
di rapporti tra la società XXX prodotti editoriali srl di cui il
XXXX è amministratore e la impresa XXX ed in particolare alla esistenza di rapporti derivanti da contratti di appalto o di altra
natura e alla documentazione che è relativa ai dipendenti, ai turni, alle modalità
di pagamento e alle spettanze degli stessi.
Ne consegue l'inammissibilità dello specifico motivo di censura.
2.2. Inammissibile in quanto manifestamente infondato anche il secondo
motivo di ricorso.
Pertinente è il richiamo nell'ordinanza impugnata alla giurisprudenza di questa
Corte secondo la quale "In sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale
è chiamato a verificare la sussistenza dell'astratta configurabilità del reato
ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza
dell'accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la
notizia di reato, a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire
prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del
bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità
giudiziaria." (ex multis Sez.3 n. 3465 del 03/10/2019 (dep.2020 ),Pirlo,
Rv. 278542; Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, Rv. 267007; Sez. 3, n. 15254 del
10/03/2015, Rv. 263053). Infatti, richiedere l'esistenza ex ante della prova della
sussistenza del reato al fine di consentire il sequestro probatorio significherebbe

vanificare la portata di tale strumento, che è invece finalizzato proprio alla ricerca
della prova.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo del consolidato principio
giurisprudenziale richiamato dal momento che, dopo avere evidenziato in modo
esaustivo le circostanze di fatto emerse dalle prime attività investigative in punto
di fumus del reato per il quale vi è iscrizione, ha altresì evidenziato la versione che
la difesa ha fornito nel giudizio di impugnazione e che parrebbe confutare le prime
risultanze investigative.
Ha, sul punto, altrettanto esaurientemente e correttamente chiarito
(potendosi escludere la sussistenza di una motivazione apparente) che, in
relazione alla fase del procedimento e alla natura dello strumento utilizzato che è
un mezzo di ricerca della prova , il tribunale, una volta esclusa l'arbitrarietà della
prospettazione accusatoria proprio in un'ottica di verifica genuina ed affidabile a
salvaguardia dei soggetti destinatari del provvedimento, ha potuto esprimere un
giudizio di legittimità e di conformità al modello legale in ordine ai presupposti che
hanno determinato l'atto a sorpresa, qualificando "l'attività di ricerca documentale
del tutto legittima e doverosa".
La ordinanza impugnata si è correttamente pronunziata, quanto alla
sussistenza del fumus, laddove ha evidenziato che - da quanto prospettato
nell'esposto e nelle dichiarazioni iniziali dei lavoratori - risultava che gli orari di
lavoro effettivo pari a 13 ore non fossero corrispondenti alle sole 4 ore indicate nel
contratto, non vi fosse una corrispondenza tra la retribuzione e la quantità di
lavoro realmente prestata, fosse ravvisabile una situazione di bisogno di taluni
dei soggetti assunti, vi fossero delle ritorsioni nei confronti dei lavoratori
sindacalizzati ed irregolarità a scopo punitivo in tema di pagamenti.
2.3. Infine il terzo motivo di ricorso appare anch'esso inammissibile in quanto
generico.
Il ricorrente erroneamente, non confrontandosi con il provvedimento
impugnato, deduce la natura "esplorativa" - e come tale illegittima- del decreto di
perquisizione e sequestro, atteso il riferimento operato ad una ipotetica e
concorrente condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti finalizzate
alla evasione delle imposte.
Il riferimento nel provvedimento impugnato a siffatta ipotesi di reato appare,
in realtà, effettuato unicamente per una completezza di esposizione rispetto agli
elementi investigativi contenuti nella informativa della notizia di reato, ma risulta
chiaramente dalla lettura del decreto di perquisizione e sequestro e dalla
successiva ordinanza del riesame che, nell'indicare le finalità probatorie cui
l'attività intrusiva era destinata, l'organo inquirente ha operato il riferimento
unicamente ai documenti relativi ai rapporti fra e società coinvolte e alla gestione

dei dipendenti, indicazioni circoscritte, coerenti e proporzionate alle finalità
probatorie che si intendevano perseguire.
Con particolare riferimento ai mezzi di ricerca della prova, idonei ad incidere
su bene giuridici costituzionalmente tutelati, il principio di proporzionalità fissa il
limite entro il quale la compressione di un'istanza fondamentale per fini processuali
può ritenersi legittima.
Ne deriva che la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto
all'accertamento penale diventa un requisito indispensabile affinché il decreto di
sequestro si mantenga nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente
prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità (Sez. U, n. 36072 del
19/04/2018, Botticelli) ed al principio di proporzione, limiti che l'ordinanza
impugnata ha correttamente ravvisato nel decreto di perquisizione e sequestro.
3. Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali. Consegue altresì, a norma dell'art. 616 cod.
proc. pen. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle
Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del
ricorso stesso, nella misura di euro tremila.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma in data 13 maggio 2022

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