Storia di Tania: «Il mio braccio schiacciato. Non avevo mai urlato tanto»

«Il mio braccio che viene schiacciato dal telaio a rallentatore. I disperati tentativi di fermare la macchina. Le preghiere che si bloccasse. Le urla di terrore e il sudore freddo. Non ho mai urlato così forte»

«Il mio braccio che viene schiacciato dal telaio a rallentatore. I disperati tentativi di fermare la macchina. Le preghiere che si bloccasse. Le urla di terrore e il sudore freddo. Non ho mai urlato così forte». La giovane lavoratrice di 22 anni racconta l’incidente sul lavoro accaduto alla Conceria di Vallarsa lo scorso 14 dicembre. E, prima ancora, l’ambiente di lavoro pericoloso, i calcinacci che cadevano dal soffitto, i macchinari vecchi. Che però andavano a pieno regime perché a Sega di Vallarsa si lavora per la filiera della moda, per i grandi marchi nazionali ed esteri.Per loro bisogna far presto. Le grandi sfilate hanno dietro le sofferenze degli operai e delle operaie delle fabbriche tessili e delle concerie. In Bangladesh come in Trentino.

La giovane aveva cominciato a lavorare in conceria a settembre. «Sono diplomata ragioniera, ho fatto il servizio civile e mi era appassionata alla grafica - racconta - Intanto però dovevo lavorare, così sono stata presa in Conceria come addetto alla produzione».

Nell’azienda in località Sega, di proprietà di imprenditori toscani con 12 addetti e 1,7 milioni di euro di ricavi, l’ambiente di lavoro si rivela subito difficile. Non per i colleghi, la maggior parte del posto, ma per le strutture. «Mi hanno detto subito: attenta, qui dal tetto può cadere il cemento. Le macchine erano vecchie, faceva freddo, dal soffitto cadevano calcinacci, pioveva dentro. L’ambiente di lavoro era malsano». D’altra parte dai responsabili aziendali arrivava un solo comando: testa bassa e lavorare.

Fino a quel giorno, il 14 dicembre 2021, la mattina. Erano da poco passate le 10. «Lavoravo con una collega - racconta la lavoratrice - ai telai in ferro che pinzano le pelli per tirarle. Ad un certo punto ho dovuto recuperare altre pinze. Di solito in questi casi la macchina si ferma e così mi sembrava, ma il macchinario ha un movimento molto lento e non era fermo».

«È come se vedessi da fuori la scena del mio braccio che veniva schiacciato dal telaio a rallentatore e, dopo aver realizzato quello che stava accadendo, mi ricordo dei disperati tentativi di fermare la macchina, delle preghiere che si bloccasse, delle urla di terrore e il sudore freddo. Non ci volevo credere. Non poteva succedere a me. Non ho mai urlato così forte, dovevo farmi sentire dai colleghi, dovevano correre a fermare la macchina. Il sollievo quando uno di loro è arrivato e ha schiacciato il pulsante rosso».

I colleghi di lavoro sono subito intervenuti, provavano a fare qualcosa ma «se muovevano qualcosa mi faceva un male cane». La ragazza aveva la gamba appoggiata su tubi bollenti che passavano lì sotto, fino a quando una collega non li ha coperti con delle pelli. «Mi sono ustionata ma non me ne sono neanche accorta, tanto era forte il dolore al braccio».

Intanto venivano chiamati i soccorsi, i volontari dell’Associazione Orsa Maggiore, i sanitari, i Vigili del fuoco volontari di Vallarsa e i permanenti di Rovereto. A loro era stato detto: c’è una persona con un braccio schiacciato da un macchinario. Uno dei soccorritori non sapeva che quella persona era sua sorella gemella. Finché non l’ha vista.

«Ho visto il terrore nei suoi occhi» racconta la giovane. Il fratello pompiere, insieme agli altri, prova a intervenire ma non è facile.«Vedevo i Vigili cercare di trovare un modo per liberare il braccio e l’agitazione perché non ci riuscivano». Intanto i sanitari danno qualche sedativo alla ragazza, che non fa effetto subito. «Sono rimasta lucida per più di mezz’ora, poi finalmente i sedativi hanno fatto effetto».

Il braccio è rimasto dentro per quasi un’ora. La lavoratrice non ricorda come l’hanno liberato. «Ho ripreso un po’ conoscenza sull’elicottero che mi portava in ospedale e poi al pronto soccorso. Lì mi hanno detto che non avrei perso il braccio. Ma non mi sentivo la mano. Non sapevo cosa sarebbe successo. Avrò danni permanenti? Dipenderò dagli altri?».

Alla fine il braccio è salvo ma i danni ci sono e ancora oggi, a due mesi dall’incidente, la giovane porta il tutore, braccio, polso edita della mano si muovono poco. «Non sono sicuri che recuperi il polso, parlano di interventi».

«Oggi non mi fermo mai più di tanto a pensare a tutto questo, sennò mi viene da piangere. Durante il giorno provo un misto di angoscia, paura e ansia a pensare al futuro del mio braccio e della mano. Sto facendo abbastanza? Lo muovo abbastanza? Oddio sono già dieci minuti che ho le dita ferme, devo muoverle. I movimenti bruschi e la troppa vicinanza delle persone mi spaventa a morte. Ho paura di provare ancora dolore e che gli altri me lo provochino involontariamente». La giovane pensa ai suoi sogni, alla possibilità di occuparsi di grafica. Intanto deve allenarsi ad essere mancina,visto che il braccio colpito è il destro.

In fabbrica, a Sega, hanno rimesso a posto il macchinario e hanno ripreso ad usarlo per produrre pelli per i capi di abbigliamento delle grandi sfilate.

 

Francesco Terreri, L'Adige, 13 febbraio 2022

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