Storia di Agitu: il lavoro come lotta per i diritti ed il multiculturalismo

Una donna straordinaria, la lotta contro le multinazionali, la fuga in un posto sicuro, il sogno che vive ancora in noi

Quella di Agitu è una storia di indipendenza, di cultura e di coraggio, una di quelle storie da raccontare ai ragazzi, a scuola, per non dimenticare che noi, gli uomini, siamo capaci di calpestare tutto questo, tutto ciò che una donna come Agitu rappresenta.

Agitu è un’immigrata, un'attivista politica, una persona istruita e quindi di ampi orizzonti.

Appena diciottenne, venne in Italia per la prima volta per studiare sociologia all’università di Trento. Dopo la laurea fece ritorno in Etiopia, per fare del suo Paese un luogo migliore, svolgendo dignitosamente l'attività di allevatrice di bestiame. Lí ha combattuto contro le multinazionali latifondiste che rubano ai giovani il terreno, il lavoro e la dignità; lì si é impegnata contro il land grabbing al fianco di un gruppo di studenti, denunciando l’illegalità degli espropri forzati dei terreni agricoli. É il governo etiope che espropria, a spese dei contadini locali, per favorire le multinazionali, che usano i terreni per cereali e monocolture destinate all’esportazione. Agitu ha lottato strenuamente contro queste politiche che espropriano i contadini costringendoli alla miseria, e a dipendere dalle multinazionali che li sfruttano facendoli lavorare per 85 centesimi di dollari al giorno. Agitu ha continuato a lavorare e a lottare contro tutto questo fino a quando ha assistito all'arresto di alcuni suoi compagni di lotta, ed alla misteriosa scomparsa di altri. La donna capisce che sta per arrivare il suo turno e, prima di sparire anche lei, decide di scappare lontano, in un posto sicuro. Decide di fare ritorno al suo antico amore, l’Italia, questa seconda volta, da rifugiata. Arriva nel nostro Paese con 200 euro in tasca e un sogno degno di una donna immigrata e d istruita qual è: l’indipendenza. Anche qui nel nostro Paese non smette di lottare, inizia subito a lavorare in un bar, mentre cerca l'occasione per continuare a svolgere il lavoro che faceva nel deserto Etiope, sognando di poter fare l'allevatrice ancor meglio di prima, in un'oasi verde come il Trentino.

La donna si crea da sola un lavoro acquistando, con quanto duramente risparmiato lavorando al bar, delle capre mochene, una razza del Trentino molto forte, come lei. Le alleva in modo sostenibile, rispettando l’ambiente, facendole pascolare tra i terreni demaniali abbandonati sullo sfondo dello splendido paesaggio alpino che circonda la sua nova vita. La copiosa produzione di latte consente ad Agitu di fare un salto di qualità verso il suo sogno, facendola diventare un’imprenditrice. Lo yogurt e il formaggio che inizia a produrre vengono molto apprezzati fin da subito, producono profitti, tanto da permetterle  di aprire un punto vendita in città. Adesso è Agitu, l'immigrata, la rifugiata, che con la sua attività può dare lavoro ad altri.

Un traguardo? Un esempio da seguire? Una realtà attiva sul territorio di cui andare orgogliosi? Solo per alcuni. E non per quelli che in Agitu non vedono una self-made-woman, una rispettabile imprenditrice, una donna istruita, aperta, un'ambientalista, un'attivista; o meglio, non per tutti coloro che in tutto questo vedono qualcosa di negativo, soprattutto se viene da una donna, nera, da un'immigrata. Questi non vedono di buon occhio il fatto che Agitu eccella in un lavoro tipicamente maschile ed ormai in abbandono come la pastorizia, né che si sia guadagnata la propria indipendenza economica che le consente, appunto, di non dipendere da nessun uomo.

Contro Agitu vengono rivolti insulti misogini, razzisti. “Sporca negra, te ne devi andare”, le dice l’uomo che la aggredisce con un bastone minacciando di ucciderla, un vicino che abita una baita presso la sua azienda.

Ma il sorriso di questa donna è più aperto dell’ignoranza, e la sua fierezza più forte del pregiudizio: Agitu denuncia l’uomo in tribunale, che viene condannato per stalking, finendo agli arresti per alcuni mesi, mentre la donna dimentica ancora una volta le violenze subite, le incomprensibili ingiustizie, e continua infaticabile a vivere il suo dignitoso sogno di donna libera.

Tutto questa sfuma improvvisamente, inspiegabilmente, quando Agitu viene barbaramente uccisa nella sua abitazione, poco prima dell'anno nuovo, quando avrebbe compiuto 43 anni.

Certo, una sedia rossa nel centro di Trento ricorda il suo sacrificio, centinaia di fiaccole silenziose a scaldano in suo onore la gelida notte trentina, la comunità globale dell’integrazione esprime la sua commozione sia ai funerali di Trento che a quelli di Addis Abeba, ma Agitu non c'è più. É stata assassinata, con lo scopo rabbioso di spegnere con la sua vita anche il sogno di tutte quelle donne che si permettono di sperare in un'emancipazione che agli uomini fa paura. Agli uomini di tutte le razze e di tutte le culture che sono ancora capaci di tutto questo.

(la foto è tratta da https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2020/12/30/agitu-idea-gudeta-omicidio)

Iscriviti alla nostra newsletter

Thank you! Your submission has been received!

Oops! Something went wrong while submitting the form