Un colpo di calore: storia di Carmine

Una fabbrica importante, un operaio instancabile, un infortunio sul lavoro, una famiglia distrutta e la lunga lotta per la verità. La giustizia dov'è?

Carmine.

1. Un nuovo orizzonte

Carmine lavora come operaio, nel reparto di vulcanizzazione gomme di un’azienda del nord Italia che produce pneumatici.

Molti anni fa Carmine è emigrato dal sud con la sua famiglia, per cercar fortuna, come tanti. Alle sue spalle una lunga storia di sofferenze e di sfruttamento lavorativo.

Aveva iniziato a lavorare in Campania, da ragazzo, come operaio in una segheria. Ma ciò, purtroppo, non gli garantiva uno stipendio puntuale, ogni mese. Farsi pagare dall'azienda, che dichiarava spesso di avere delle difficoltà, era un'impresa, per lui come per tutti gli altri dipendenti.

Carmine ha sopportato, continuando per anni a lavorare in silenzio. Fino a quando un giorno ha detto basta e ha scelto di rischiare, di partire, almeno di provare a dare a sé stesso la possibilità di migliorare la propria vita, e quella della sua famiglia. Carmine ha scelto di provare a garantire un’esistenza dignitosa ai propri figli che, quando é emigrato al nord, erano ancora piccoli.

Era la fine degli anni '90 quando Carmine ha dovuto lasciare gli amici di una vita, la casa in cui ha visto nascere i suoi figli, il mare e quello splendido sole del sud che gli è rimasto negli occhi. Ma ormai aveva fatto la sua scelta, con coraggio. Le partite della sua squadra dalla maglia azzurra le avrebbe viste in trasferta, negli stadi del nord, ed è da lì che avrebbe trasmesso la propria fede calcistica ai suoi figli. Una fede che altro non é se non amore per la propria terra, per le proprie origini.


Carmine affronta la nuova vita con determinazione: è un lavoratore serio e onesto che si fa apprezzare per il suo impegno e la sua dedizione perché, come gli aveva insegnato suo padre, "il lavoro nobilita l'uomo".

E finalmente, quel lavoro tanto anelato, arriva.

Carmine viene assunto come operaio in una cartiera, con turni massacranti, ma va bene così: poter mantenere dignitosamente la propria famiglia è così importante che tutto il resto passa in secondo piano. Arriva a lavoro sempre con largo anticipo, e si fa ben volere da tutti per il suo carattere solare, pronto sempre a sdrammatizzare e incline a superare con un sorriso le situazioni più complesse.

Ma il suo essere solare viene offuscato da qualcosa che cambierà per sempre la sua vita: Carmine assiste a due infortuni sul luogo di lavoro che porteranno due suoi colleghi, ormai diventati amici, alla morte. Questa duplice perdita lo colpisce a tal punto da fargli fare, ancora una volta, una scelta estrema: lasciare il lavoro in cartiera. I figli di Carmine sono ancora piccoli, hanno bisogno di lui, ed è sua responsabilità non mettere a rischio la propria vita. Però, senza lavoro non può stare, perché deve mantenerli. Non gli resta che rimboccarsi le maniche ancora una volta, e cercare una nuova occupazione.

Dopo un lungo periodo d'incertezza, arriva la chiamata dell'agenzia interinale: c'è un colloquio con un’azienda grossa, una di quelle importanti! Forse è questa l’occasione della sua vita, quella che stava aspettando da sempre, e non la spreca. Il colloquio va bene, Carmine viene assunto dall'azienda che produce pneumatici e, dopo un primo contratto precario, il rapporto diventa a tempo indeterminato. Tutto sembra andare per il meglio e Carmine immagina già il suo futuro: la sua lunga e faticosa carriera si sarebbe conclusa con la pensione, e avrebbe potuto passare gli ultimi anni con la sua famiglia, godendosi frutti di tanti anni di sacrificio.


La nuova avventura lavorativa ha inizio. Carmine svolge delle mansioni precise e di responsabilità nel reparto di vulcanizzazione: sollevare carcasse di gomma, inserirle nella pressa-forno, attenderne la cottura e infine collocare i pneumatici, quando sono pronti, in un apposito contenitore. Certo, è un lavoro è duro, specialmente quando, al fuoco del reparto, si aggiunge il caldo soffocante dell'estate. 

Con gli anni, egli matura anche una maggiore consapevolezza ed uno spirito critico verso l'organizzazione lavorativa, e comincia a partecipare sempre più frequentemente alle attività sindacali.

Ma arriva la crisi, l'azienda deve competere con il mercato globale e cambia le condizioni di lavoro, perché deve ridurre i costi ed aumentare la produttività. É così che in fabbrica cambiano molte cose, e la pausa pranzo degli operai viene eliminata.

Nel reparto di vulcanizzazione, sopra i forni, c'è un aspiratore che dovrebbe risucchiare il calore, ma non funziona bene. Andrebbe sostituito con uno funzionante, ma l'azienda deve abbattere i costi e decide che non è necessario cambiarlo. E così, in quel reparto, fa sempre più caldo. Ci vorrebbero almeno dei boccioni d’acqua, degli erogatori, per permettere agli operai di bere, di idratarsi durante il lavoro, ma non ci sono. Col passare del tempo alcuni operai vanno in pensione, ma non vengono rimpiazzati da nuovi assunti. E così, per chi rimane, il lavoro aumenta, e i turni vengono cambiati. Quello notturno, che è il turno più fresco soprattutto in estate, viene eliminato. 


2. Quella maledetta estate

Poi arriva quella maledetta estate, quando anche fra i monti del nord si toccano i 40 gradi di temperatura, e la gente che non può andare in vacanza non esce di casa se non per cercare riparo nell'aria condizionata di qualche negozio, o in una bibita fresca. Ma lui no: Carmine è sempre lì, in fabbrica, a dare tutto sé stesso sul luogo di lavoro, come un soldato al fronte.

Ai 40 gradi esterni, in reparto si aggiungono quelli del calore che esce dai forni e dei vapori che cuociono le carcasse degli pneumatici fino a 140 gradi.

Nel giorno più caldo di quella maledetta estate, il suo turno sarebbe dovuto essere 14:00-22:00, ma Carmine non lo terminerà. Pochi minuti dopo le 18:00 un collega lo trova riverso a terra, incosciente, con lo sguardo spento. E Carmine non si è più svegliato. Né quando sono arrivati i sanitari del 118, né quando gli operatori del pronto soccorso e della rianimazione hanno cercato in tutti i modi di abbassargli quella febbre che non voleva saperne di scendere, e non è scesa. Nove ore più tardi, alle 3 di notte, Carmine, l'operaio, è morto. Lasciando una famiglia rotta dal dolore, dalla tragedia.


La mattina dopo in fabbrica scoppia una protesta. Appresa la notizia della morte  di Carmine, di quel collega solare che era uno di loro, gli operai della fabbrica denunciano: «É stato un colpo di calore, dovuto alle condizioni di lavoro estremamente difficili: in quel reparto operiamo a 48 gradi, è insopportabile!». Proclamano uno sciopero di un'ora cui aderiscono tutti i lavoratori del primo turno, mentre quelli del secondo turno si riuniscono in assemblea.


Carmine non ha ancora ricevuto il saluto estremo del funerale, quando il padrone della fabbrica si affretta ad asserire: «stiamo assistendo ad una grossa speculazione anti-industriale» e «l’ispettorato del lavoro ha verificato il perfetto funzionamento delle presse e il loro impatto in caso di alte temperature».


3. Quale verità?

La verità sembra scontata, perché impressa nel corpo nel corpo di Carmine, ritrovato bollente. Ma quella verità, scolpita anche nel referto del pronto soccorso di Rovereto che aveva rilevato, quando ormai era troppo tardi, la temperatura di 42 gradi e diagnosticato uno “shock da ipertermia”, viene subito messa in discussione.

La magistratura iscrive un procedimento per il reato di omicidio colposo, e subito dopo viene eseguita l’autopsia. Il medico legale consulente tecnico dell’Autorità Giudiziaria conclude che la morte è stata sì determinata da colpo di calore, ma non esclude che il lavoratore abbia avuto un mancamento dovuto ad una cardiopatia, a problemi di cuore, insomma. Mille dubbi adombrano le cause della morte, mentre i figli di Carmine diventano grandi in un giorno solo, quello in cui hanno perduto il padre, per sempre. La realtà è più grande di loro e rischiano di rimanerne schiacciati. Hanno paura, certo, ma il dolore e la rabbia sono più forti, e la famiglia di Carmine trova il coraggio di contestare subito la ricostruzione del medico legale. «Papà è sempre stato bene, non ha mai avuto problemi di cuore» dicono. Per loro è chiaro che la morte improvvisa del padre non può essere stata determinata da cause naturali. E diventa subito altrettanto chiaro che la verità e la giustizia non arriveranno mai, non da sole. Per averle, dovranno lottare, conquistarsele.

Così decidono di nominare un difensore ed un proprio medico legale, un anatomopatologo di fama internazionale, che già in passato aveva risolto per l’Autorità Giudiziaria casi di morti improvvise molto difficili da decifrare. Le sue conclusioni  tecniche non lasciano adito a dubbi: nessuna cardiopatia. Carmine non era affatto malato. Banalmente è morto solo perché in azienda c’era troppo caldo.

Così la Procura della Repubblica chiede il rinvio a giudizio per il datore di lavoro e per il medico competente aziendale, per omicidio colposo con violazione della normativa antinfortunistica.


4. Il processo

Le udienze del processo per la morte di Carmine hanno inizio. Durante l’istruttoria dibattimentale, le deposizioni di operai, medici del lavoro e medici legali mostrano un tragico spaccato delle condizioni di lavoro nel reparto di vulcanizzazione gomme di quell’azienda importante del nord Italia.

Nella fredda aula del Tribunale, i colleghi descrivono l’ambiente di lavoro nel reparto di Carmine come un “girone dantesco”, dove le presse per le carcasse degli pneumatici lavoravano a temperature altissime, anche a 150 gradi. Una situazione tragica tanto che, all'entrare nel del reparto di vulcanizzazione, quando si apriva il portone, una vampata di calore ti gettava quasi a terra facendoti mancare il respiro. Era questo l'ambiente di lavoro dove Carmine, tutti i giorni, andava a guadagnarsi da vivere. Per i colleghi, «costringere una persona a rimanere in una zona così estrema era veramente disumano». Fra loro qualcuno ricorda chiaramente che, solo dieci giorni prima della morte di Carmine, un altro lavoratore aveva avuto un malessere analogo, e non era certo il primo: ogni anno, arrivata l'estate, qualcuno si sentiva male.

I capi reparto, raccontano gli operai al processo, controllavano rigorosamente che le pause sul lavoro fossero tre, e solo di dieci minuti. Era l'unica concessione da quando l’azienda aveva eliminato la pausa pranzo, anni prima. Un collega di Carmine racconta che, per evitare che vi fossero contestazioni da parte del capo reparto sulla durata della pausa, andava a lavoro con un orologio da cucina, un timer.

Il giorno dell’infortunio, un'ora prima del tragico evento, un collega si era avvicinato a Carmine, che aveva visto esausto e stravolto, per chiedergli di prendere un caffè insieme durante i dieci minuti di pausa. Ma Carmine non poteva: la pressione che esercitavano su di lui, caricandolo di lavoro con quei turni assurdi, gli faceva spesso rinunciare alla pausa perché non ne aveva proprio il tempo materiale. Anche l’ispettore del lavoro ha ipotizzato che quel giorno Carmine non avesse fatto nessuna pausa, tesi avvalorata dai dati relativi alla produzione delle gomme vulcanizzate, che risultavano più alti rispetto alle medie delle altre giornate lavorative.

Del resto, già molti anni prima, lo stesso medico competente del lavoro aveva detto all’azienda che le pause erano inadeguate, soprattutto nei periodi di maggiore caldo estivo.

E poi c’erano quegli aspiratori, incluso quello mal funzionante, che a poco servivano per assorbire l’aria calda dei forni a 140-150 gradi quando le presse venivano aperte dagli operai. E per bere bisognava uscire, visto che all’interno del reparto non c'erano i boccioni d'acqua a disposizione degli operai. 

Gli ispettori del lavoro riferiscono che la temperatura da loro misurata nel reparto di vulcanizzazione era di 39-41 gradi: di gran lunga superiore rispetto ai 30-35 gradi massimi previsti dalla norma.


5. La sentenza

In autunno arriva la sentenza di primo grado del Tribunale. L'azienda viene condannata, con il minimo della pena. Ma è pur sempre una condanna, a dimostrare che quel giorno, Carmine, non è morto per una disgrazia. È morto perché quella fabbrica non ha fatto quel che doveva fare, quel che era tenuta a fare per tutelarlo, soprattutto nel caldo di un'estate torrida senza precedenti. Il medico del lavoro imputato viene invece assolto: dal processo è emerso che aveva dato all’azienda delle prescrizioni, ma erano rimaste inascoltate.

Il datore di lavoro è stato condannato a risarcire ai due figli dell’operaio un danno da quantificare successivamente, in sede civile.

La sentenza, per i figli, ha un sapore amaro e beffardo. Infatti la sentenza ipotizza un comportamento imprudente della vittima, che a dire del Giudice beveva poco e sprecava parte delle pause per fumare. Invece, al datore di lavoro viene addossata una colpa lieve, ossia solo quella di non aver fornito all’operaio la possibilità di avere acqua da bere a disposizione nel reparto, come se non avesse potuto fare nient'altro per evitare la morte del lavoratore.

Insomma la sentenza, seppur di condanna del datore di lavoro, è ugualmente uno schiaffo per la famiglia, perché la memoria di Carmine è stata infangata:come se invece fosse in qualche modo coresponsabile per la propria tragica morte.

«Quanto valeva la vita di nostro padre?», si domandano i figli. «Papà era una persona entusiasta e fiera. Cercava di trasmetterci la sua stessa passione per il lavoro, forse inconsapevolmente e anche se non lo chiedevamo, ma ci dava ogni giorno il buon esempio, dando tutto per quel lavoro conquistato e guadagnato dopo molti sacrifici e che ora lo nobilitava nello spirito».  La storia non poteva finire così: «Papà non se lo merita». Da qui la decisione dei figli di ricorrere in appello contro una sentenza che sì, stabilisce una responsabilità del datore di lavoro, ma... la giustizia è un’altra cosa.


6. L'epilogo

Il giudizio d’appello darà ragione ai figli di Carmine, e il verdetto della Corte restituirà onore e dignità alla memoria del padre.

La sentenza di appello va molto oltre il riconoscere il diritto dei figli ad un risarcimento immediato, e nega qualsiasi concorso di colpa da parte dell’operaio che, non c'è dubbio, è morto solo di caldo.

La Corte esprime valutazioni pesantissime sulle inumane condizioni di lavoro in azienda, definite infernali. Perché svolgere un lavoro fisico con temperature tra i 40 e i 50 gradi poche pause e grossa difficoltà ad idratarsi adeguatamente, semplicemente non è umano.

Ancora più pesante è la valutazione del comportamento del datore di lavoro, che avrebbe dovuto accorgersi prima delle condizioni di quell’ambiente di lavoro, anche perché ben prima della morte di Carmine c’erano già stati due chiarissimi campanelli d’allarme.  Altri due episodi analoghi si erano verificati nello stesso reparto e il datore di lavoro sapeva: anche prima di assumere quel ruolo in azienda, conosceva perfettamente la situazione, e da anni. Era il fondatore dell’azienda ed ha avuto accesso a tutti i reparti sempre e costantemente, al di là del ruolo professionale ricoperto. Ciò nonostante, il datore di lavoro è rimasto nella più imperturbabile indifferenza.


Infine, la sentenza di appello riconosce che Carmine non ha alcuna responsabilità: la sua unica colpa è stata l’aver lavorato con serietà e zelo, fino al limite delle sue forze fisiche. Chi ha una responsabilità piena e totale è il datore di lavoro, e solo lui.

La memoria di Carmine viene finalmente ristabilita, per lui, per i suoi famigliari, per i colleghi, e per tutti i lavoratori.


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