Responsabile il datore di lavoro se i lavoratori eseguono la pulizia del rullo mentre è in movimento

Cassazione Penale Sez. 4 Sentenza 23/11/2022 n 44561
infortunio del lavoratore che subisce l'amputazione del dito trascinato dal rullo in movimento
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Cassazione Penale Sez. 4 Sentenza 23/11/2022 n 44561

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: VIGNALE LUCIA

Data Udienza: 09/11/2022

Fatto

1. Con sentenza del 18 ottobre 2021, la Corte di appello di Ancona ha riformato quanto al trattamento sanzionatorio la sentenza emessa il 18 marzo 2019 dal Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di C.G. ritenuto responsabile - quale «legale rappresentante della Scandolara s.r.l. » - del reato di cui all'art. 590, commi 1 e 3, cod. pen. in danno di G.P., dipendente della società. La Corte di appello ha valutato che, nel caso concreto, la pena detentiva - inflitta dal giudice di primo grado nella misura di giorni venti di reclusione - potesse essere sostituita con la pena pecuniaria di specie corrispondente che è stata determinata nella misura di € 5.000,00 di multa (€ 250,00 per ogni giorno di pena detentiva). La sentenza di primo grado è stata riformata per questa parte e confermata nel resto. È stata respinta la richiesta di concessione del beneficio della non menzione della condanna ex art . 175 cod. pen.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi ad Ascoli Piceno il 15 aprile 2016 nello stabilimento che costituisce unità produttiva della società «Scandolara» (indicata come s.r.l. nel capo di imputazione, ma come s.p.a. nelle sentenze) . Questa società ha sede legale a Milano, opera nella produzione di tubetti in alluminio, laminato e plastica, e, all'epoca dei fatti, C.G. ne era legale rappresentante.

Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, G.P., operaio litografo, stava pulendo i rulli della macchina litografica alla quale era addetto avvalendosi di uno straccio. La pulizia doveva avvenire con i rulli in movimento e, per questo, all'imbocco c'era una protezione, che non raggiungeva però la parte terminale dei rulli. A causa di ciò, la mano destra di G.P. fu trascinata ed egli subì un «trauma da schiacciamento, con amputazione dell'apice del V dito» dal quale derivò una malattia di durata superiore ai quaranta giorni.

C.G. è accusato di aver provocato l'infortunio per colpa specifica, consistita nella violazione dell'art. 71 d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, e, in particolare, per aver messo a disposizione dei lavoratori una attrezzatura non conforme ai requisiti generali di sicurezza.

3. L'imputato ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di appello articolandolo in tre motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173 comma 1 d.lgs.

3.1 Col primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa . La difesa osserva che i giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità di C.G. perché i rulli del macchinario utilizzato da G.P. non erano interamente coperti, ma quel macchinario era in uso da anni e mai si erano verificati infortuni con modalità simili. Sostiene che, per poter affermare la responsabilità datoriale, sarebbe stato necessario indagare in ordine alla conoscibilità da parte di C.G. dell'ipotizzata inadeguatezza della protezione, alla concreta prevedibilità dell'evento e alla possibilità di intervenire per prevenirlo ed evitarlo.

Rileva che, come la Corte di appello ha riconosciuto, «secondo regolare procedura, i dipendenti non avrebbero dovuto avvicinare le mani ai rulli in movimento». Sottolinea che (come risulta dalla sentenza di primo grado), l'uso delle macchine litografiche era disciplinato da una apposita procedura, in forza della quale i calamai e le stazioni di inchiostratura dovevano essere puliti «a macchina ferma» senza «avvicinare mai le mani nella zona in movimento». Osserva che G.P. ha dichiarato di aver partecipato a corsi di formazione aziendale. Ne desume che il datore di lavoro aveva pienamente assolto ai propri doveri di prevenzione e protezione e sottolinea che l'ipotizzata esistenza di una prassi operativa difforme rispetto a quella stabilita avrebbe richiesto una puntuale motivazione delle ragioni per le quali di questa prassi C.G. avrebbe dovuto essere informato. Osserva, in particolare, che il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro non costituisce di per sé prova né della conoscenza né della conoscibilità da parte di quest'ultimo di prassi aziendali difformi rispetto a quelle stabilite, e tale conoscenza e conoscibilità sono imprescindibili per l'affermazione della responsabilità a titolo di colpa.

3.2. Col secondo motivo, il ricorrente si duole della mancata concessione del beneficio della non menzione - che sarebbe stata negata con motivazione contraddittoria facendo riferimento agli stessi elementi (danni patiti dal lavoratore e gravità del fatto reato) valutati ai fini della concessione delle attenuanti generiche - del giudizio di equivalenza tra tali attenuanti e la aggravante, e della determinazione della pena nei minimi edittali.

3.3. Col terzo motivo, la difesa rileva che la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria di specie corrispondente è avvenuta sulla base del testo dell'art. 53 legge 24 novembre 1981 n. 689 vigente quando la sentenza è stata pronunciata, ma, con la sentenza n. 28/2002, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità di questa norma nella parte in cui prevede che il «valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare», e non che il «valore giornaliero non può essere inferiore a 75 euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 del codice penale». Sostiene che la mutata cornice edittale impone una nuova determinazione del parametro di conversione essendo stato applicato per la sostituzione il minimo edittale di € 250,00 dichiarato costituzionalmente illegittimo.

4. Il Procuratore generale ha depositato memoria scritta chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla conversione della pena detentiva, con rinvio per la rideterminazione della pena pecuniaria. Ha chiesto il rigetto degli altri motivi di ricorso.

Diritto

1. Il primo e il secondo motivo di ricorso non sono fondati. Il terzo merita accoglimento.

2. Si deve premettere che la sentenza impugnata esamina i motivi di appello con criteri omogenei a quelli del primo giudice e fa rinvio integrale ai passaggi logico giuridici della prima sentenza. Nel caso in esame, dunque, vi è concordanza tra i giudici di merito nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione. Conseguentemente, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e, ai fini della decisione del presente ricorso, le due sentenze devono essere lette cong untamente (cfr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).

I giudici di merito hanno ritenuto sussistente una colpa specifica per violazione dell'art. 71 d.lgs. n. 81/08, in base al quale il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della salute e sicurezza, adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi. I requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro sono indicati dal precedente art. 70 che rinvia all'allegato V. L'allegato VI del d.lgs. 81/08, detta poi le disposizioni relative all'uso delle attrezzature di lavoro. Ai sensi dell'art. 69 comma 1 lett. b) del decreto, per «uso di una attrezzatura di lavoro», si intende «qualsiasi operazione lavorativa connessa ad una attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l'impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, il montaggio, lo smontaggio».

Nella sentenza di primo grado si riferisce che, come risulta dal documento di valutazione dei rischi predisposto dalla società, le macchine presenti nel reparto litografia erano «di vecchia concezione» e, pertanto, vi erano state «applicate delle protezioni, sia contro il rumore, sia per evitare il contatto con parti in moto». In particolare, il documento di valutazione dei rischi prevedeva che durante la fase della lavorazione, «non potendo abbassare la velocità della macchina perché questo creerebbe problemi sulla stampa» l'operatore, «costretto a disattivare la sicurezza tramite il selettore a chiave presente sulla macchina», non dovesse «in alcun modo avvicinarsi alle parti in moto» e dovesse utilizzare «durante la fase lavorativa e di set-up [ ...] stracci imbevuti di solvente» (pag. 5 della sentenza di primo grado). Dalla medesima sentenza risulta che, nel giudizio di primo grado, la difesa ha prodotto copia della procedura operativa prevista per l'uso delle macchine litografiche del reparto alluminio . In questa procedura lo schiacciamento delle mani durante il lavaggio dei calamai era indicato quale «rischio specifico» e si richiedeva di pulire sia i calamai che le stazioni di inchiostratura «a macchina ferma», raccomandando di «non avvicinare mai le mani ne la zona in movime-nto, di utilizzare abbigliamento aderente» e di verificare che sui rulli inchiostratori vi fossero «tutte le protezioni antimpigliamento» (pag. 5 della sentenza di primo grado e pag. 6 del ricorso). Il ricorrente sottolinea che, secondo P.I., responsabile per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, sentito quale testimone in udienza, la macchina che G.P. stava pulendo al momento dell'infortunio «era dotata, come da fabbrica, di una barretta metallica» idonea ad impedire il trascinamento della mano. Secondo i giudici di merito, che richiamano sul punto le dichiarazioni rese dai tecnici della prevenzione intervenuti sul posto, la barretta non copriva la parte terminale dei rulli e non era dunque idonea a fini di prevenzione. La sentenza di primo grado riferisce inoltre, richiamando le dichiarazioni rese dallo stesso P.I., che, per il lavaggio dei rulli si utilizzavano stracci imbevuti di solvente e i rulli venivano fatti ruotare a velocità ridotta (erano dunque in movimento) e che, nella macchina di cui si tratta, i rulli non potevano essere fatti ruotare in direzioni opposte così da impedire l'effetto di trascinamento. Proprio per questo, all'imbocco dei rulli vi era una barretta protettiva. Questa barretta fu sostituita, dopo l'infortunio, da una protezione più larga che, pur rendendo più difficoltosa la pulizia, proteggeva interamente l'imbocco.

Non è controverso che l'infortunio si sia verificato perché, mentre G.P. puliva con uno straccio i rulli in movimento, la sua mano destra fu afferrata dalla parte terminale, non protetta, dell'imbocco dei rulli. G.P. ha dichiarato che, durante le operazioni di pulizia, la macchina non poteva essere spenta (il movimento dei rulli era infatti funzionale alla pulizia stessa) e, di conseguenza, se ne rallentava la velocità. Ha detto di aver operato attenendosi ad una prassi che aveva appreso dai colleghi, secondo modalità che venivano abitualmente applicate ad ogni cambio di lavorazione (pag. 4 della sentenza di primo grado).

2.1. Secondo il ricorrente la prassi di procedere alla pulizia dei rulli tenendo la macchina in moto sarebbe contraria alle indicazioni contenute nel documento di valutazione del rischio sicché i giudici di merito avrebbero dovuto spiegare che C.G. era informato di tale prassi difforme oppure chiarire perché avrebbe dovuto esserlo. Il ricorrente sottolinea, inoltre, che, operando nel modo indicato, G.P. avrebbe tenuto un comportamento abnorme, non prevedibile da parte del datore di lavoro.

L'argomento è privo di pregio, non soltanto perché - come la sentenza impugnata ricorda - in caso di assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai lavoratori, l'imprudenza di costoro non configura un rischio «eccentrico», idoneo ad escludere il nesso di causa tra la condotta o l'omissione del datore di lavoro e l'infortunio (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242; Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321); ma soprattutto perché il divieto di avvicinarsi con le mani agli organi in movimento inserito nel documento di valutazione del rischio riguarda, all'evidenza, la fase della lavorazione e non quella della pulizia dei rulli. In questa fase, infatti - come emerge dalla procedura operativa prodotta dalla difesa e dalle dichiarazioni del teste P.I. si doveva necessariamente operare tenendo i rulli in movimento e, proprio per questo, la macchina era dotata di una protezione all'imbocco degli stessi. Ne consegue che la «prassi comune» (così la definisce la sentenza impugnata) di pulire i rulli in movimento utilizzando uno straccio e avvicinando ad essi le mani non era affatto abnorme ed era tutt'altro che imprevedibile e inevitabile, era anzi prevista, e lo era con tale chiarezza che, per questo, la macchina era dotata di una protezione all'imbocco dei rulli.

2.2. Dalle sentenze di merito risulta che la protezione non era idonea a prevenire l'infortunio (che infatti si verificò) non essendo conforme alle- disposizioni dell'art. 71 d.lgs. n. 81/08.

Va ricordato in proposito che gli artt. 70 e 71 d.lgs. n. 81/08 fanno riferimento all'allegato V del medesimo decreto. Questo allegato prevede, al punto 11.1. della prima parte: «Le operazioni di manutenzione devono poter essere effettuate quando l'attrezzatura di lavoro è ferma. Se ciò non è possibile, misure dì protezione appropriate devono poter essere prese per l'esecuzione di queste operazioni, oppure esse devono poter essere effettuate al di fuori delle zone pericolose»; prevede, inoltre, al punto 5.9.1. della seconda parte: «Nelle macchine con cilindri lavoratori e alimentatori accoppiati e sovrapposti, o a cilindro contrapposto a superficie piana fissa o mobile, quali laminatoi, rullatrici, calandre, molini a cilindri, raffinatrici, macchine tipografiche a cilindri e simili, la zona di imbocco, qualora non sia inaccessibile, deve essere efficacemente. protetta per tutta la sua estensione, con riparo per impedire la presa e il trascinamento delle mani o di altre parti del corpo del lavoratore». L'allegato VI, che disciplina l'uso dei macchinari, prevede, inoltre, al punto 1.6., il divieto di pulire a mano «gli organi e gli elementi in moto di attrezzature di lavoro, a meno che ciò non sia richiesto da particolari esigenze tecniche», e stabilisce che in questi casi (dunque in casi simili a quello in esame) debba «essere fatto uso di mezzi idonei ad evitare ogni pericolo».

2.3. Ai sensi degli artt. 17 e 28 d.lg. n. 81/08 l'obbligo di valutazione dei rischi che incombe sul datore di lavoro prevede anche la scelta delle attrezzature da lavoro. Grava quindi su di lui (come grava, in presenza di deleghe, su ogni gestore del rischio), l'obbligo di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l'utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa - inidoneità originaria o sopravvenuta - siano pericolosi per l'incolumità del lavoratore che li manovra (Sez. 4, n. 3917 del 17/12/2020, dep. 2021, Dal Maso, Rv. 280382). In attuazione di questi principi si è ritenuto che «il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità» (Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008, Vigilardi, Rv. 241020; Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948). A questa regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile perché le speciali caratteristiche della macchina non consentivano di apprezzarne la pericolosità con l'ordinaria diligenza (Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli, Rv. 275114; Sez. 4, n. 41147 del 27/10/2021, Favaretto, Rv. 282065), ma tale situazione non ricorre nel caso di specie atteso che, come emerge dalle sentenze di merito, la protezione non ricopriva la zona di imbocco per tutta la sua estensione, sicché il pericolo era evidentemente riconoscibile. Il ricorrente osserva che la macchina era stata utilizzata per oltre vent'anni senza che nessuno si facesse male, ma questo dato non consente di ritenere che il difetto di protezione fosse occulto e non accertabile con l'ordinaria diligenza.

Nella sentenza di primo grado, inoltre, si sottolinea la «assenza di ogni elemento in ordine ad una eventuale delega di funzioni» e questa affermazione non è stata contestata né in sede di appello né in sede di ricorso per Cassazione sicché si deve ritenere che gli obblighi imposti dall'art. 71 d.lgs. 81/08 non fossero stati formalmente delegati.

2.4. Per quanto esposto, la motivazione della sentenza impugnata, integrata dalla motivazione della sentenza di primo grado cui la stessa fa rinvio, non può essere ritenuta carente, contraddittoria o illogica e certamente non contrasta con i principi di diritto che disciplinando la materia.

Nel caso di specie - come emerge dalle sentenze di merito - il comportamento dell'infortunato non determinò l'attivarsi di un rischio eccentrico rispetto a quello prevedibile, e l'evento lesivo si verificò perché quel rischio non fu prevenuto in maniera adeguata. La pulizia dei rulli, infatti, richiedeva che gli stessi fossero in movimento e, nella macchina che G.P. stava pulendo, tale movimento era convergente (idoneo, quindi, a determinare l'afferramento e trascinamento delle mani dell'operatore). Ciò imponeva che la zona di imbocco fosse protetta per tutta la sua estensione e il rispetto di tale doverosa regola cautelare avrebbe senza dubbio impedito l'evento. L'evento che in concreto si verificò, dunque, fu esattamente quello che la norma di prevenzione violata mirava ad evitare e la decisione assunta non è censurabile quando individua quale condotta alternativa doverosa la realizzazione di una idonea protezione.

Quanto alla prevedibilità ed evitabilità soggettive dell'evento dannoso, basta rilevare che, in assenza di deleghe, l'obbligo di attuare le norme in materia di prevenzione e vigilare sul rispetto delle stesse, grava sul datore di lavoro e - come la sentenza impugnata ricorda - qualora non siano individuabili soggetti diversi obbligati a garantire la sicurezza dei lavoratori, nell'ambito di un'impresa organizzata in forma societaria, destinatario della normativa antinfortunistica è il legale rappresentante (Sez. 3, n. 24478 del 23/05/2007, Lalia, Rv. 236955; Sez. 3, n. 2580 del 21/11/2018, dep. 2019, Slabu, Rv. 274748; Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017, Ottavi, Rv. 269133)

3. Col secondo motivo, il ricorrente si duole della mancata concessione della non menzione della condanna. Osserva che questa decisione è stata motivata facendo riferimento alla «consistenza dei danni patiti dal lavoratore» e alla «consistenza/gravità del fatto-reato», ma degli stessi elementi si è tenuto conto per valutare congrua la pena di venti giorni di reclusione inflitta in primo grado previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti all'aggravante. La difesa sostiene che, essendo stata determinata la pena in misura prossima ai minimi edittali, l'argomentazione è contraddittoria. Lamenta, inoltre, che nel motivare il diniego, non sia stato fatto alcun riferimento alla personalità dell'imputato e alla sua capacità a delinquere.

Il motivo di ricorso è infondato. Il beneficio della non menzione della condanna di cui all'art. 175 cod. pen. tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all'apprezzamento discrezionale det giudice di merito, che deve indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, Iannacone, Rv. 275813; Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251509). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto di dover negare il beneficio in ragione dell'entità del danno e della gravità del fatto di reato e - a differenza di quanto sostiene il ricorrente - tale motivazione non contraddice quella adottata nel valutare congrua la pena inflitta dal giudice di primo grado. Se è vero, infatti, che, in sede di appello, la pena detentiva è stata sostituita con la pena pecuniaria di specie corrispondente, è anche vero che i giudici di appello non hanno ritenuto che la gravità del fatto giustificasse fin dall'inizio l'applicazione della pena pecuniaria e hanno escluso che le attenuanti generiche, già concesse dal giudice di primo grado, potessero essere valutate prevalenti sulla aggravante.

4. Il terzo motivo di ricorso è fondato. La pena di € 5.000,00 di multa è stata determinata, infatti, ai sensi dell'art. 53 legge 689/81: norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 28/2022 del 12/01/2022 (depositata in data 01/02/2022).

Come noto, questa sentenza ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 53 «nella parte in cui prevede: «"[i]I valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare" anziché "[i]I valore giornaliero non può essere inferiore a 75 euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 del codice penale"».

Il valore giornaliero minimo cui si deve fare riferimento per la sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria di specie corrispondente, pertanto, non è più quello di€ 250, bensì quello di€ 75 per ogni giorno di pena detentiva.

La situazione che si è verificata per effetto di tale pronuncia non è dissimile da quella che si verificò con la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019 con la quale fu dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, d.P.R. 10 ottobre 1990, n. 309, nella parte in cui prevede la pena minima edittale di anni otto anziché di anni sei di reclusione. In quel caso, la giurisprudenza di legittimità ritenne che la pena determinata dal giudice di merito, potesse essere rideterminata dalla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. l), cod. proc. pen. purché non vi fosse necessità di procedere ad attività valutative o implicanti l'esercizio di poteri discrezionali e, quindi, purché fosse stata considerata quale base di computo la pena detentiva minima e l'aumento di pena eventualmente disposto per la continuazione non fosse influenzato dalla pronunzia di illegittimità costituzionale (Sez. 3, n. 13097 del 09/01/2020, Palma, Rv. 279231; Sez. 3, n. 43103 del 04/07/2019, del Giacca, Rv. 277175).

Una situazione analoga si è verificata nel caso in esame: la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria di specie corrispondente, infatti, è avvenuta sostituendo la pena detentiva di giorni 20 di reclusione, con la pena di€ 5.000,00 di multa, cioè applicando il valore giornaliero minimo previsto dalla disposizione di legge dichiarata costituzionalmente illegittima.

La pena pecuniaria applicata in sostituzione della pena detentiva deve pertanto essere rideterminata, previo annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, nella misura di€ 1.500,00 di multa pari a 75 euro per ogni giorno di reclusione.

7. Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio quanto alla determinazione della pena pecuniaria sostitutiva che deve essere indicata nella misura di € 1.500,00. Nel resto il ricorso va respinto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena pecuniaria sostitutiva che ridetermina in € 1.500,00. Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso il 9 novembre 2022

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