Per il Tribunale di Padova è illegittima la sospensione senza retribuzione del personale sanitario non vaccinato

Tribunale di Padova Sezione Lavoro Ordinanza 28 aprile 2022 Giudice Dr. Roberto Beghini
Viola l'art. 3 della Costituzione la norma che vieta il ripescaggio del personale sanitario no vax in altra mansione
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TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA
SEZIONE LAVORO
Il giudice
- letti gli atti del proc. n. 275/2022 RG, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del
12.04.2022;
- premesso che con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 7.02.2022, che lavora dal 23.07.2007 alle dipendenze della resistente ___ con qualifica di operatrice socio sanitaria, espone che, con comunicazione pervenuta a detta datrice di lavoro il 13.09.2021, l’Azienda sanitaria Ulss n. 6 Euganea dava atto dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2 stabilito dall’art. 4-ter del decreto legge n. 44/2021. La ricorrente, per l’effetto del disposto art. 4, comma 6, del medesimo decreto legge, in data 15.08.2021 veniva temporaneamente sospesa dal diritto di svolgere la propria attività lavorativa e di ottenere il relativo trattamento economico fino all’adempimento del predetto obbligo; sospensione confermata il 31.12.2021. Deducendo l’illegittimità di tale normativa sotto vari profili, ______ ha adito questo tribunale chiedendo di essere reintegrata in servizio, anche con mansioni inferiori, eventualmente anche a condizioni di sottoporsi a tampone rapido ogni due giorni oppure anche ogni giorno, con pagamento di tutte le retribuzioni arretrate. Dal punto di vista del periculum in mora, espone di essere madre di due figli, di cui uno minore, e di essere onerata dei ratei di un mutuo ipotecario ottenuto per l’acquisto dell’abitazione principale;
- premesso altresì che la resistente _______(Fondazione che accoglie persone con disabilità), ha replicato di essersi limitata ad adempiere a quanto imposto inizialmente dall’art. 4 del decreto legge 1.04.2021, n. 44, e successivamente anche dagli artt. 4 bis e 4 ter dello stesso decreto legge; contesta l’esistenza di alcun obbligo di cd repêchage, stante l’intervenuta abrogazione del comma 8 dell’art. 4; precisa infine che non vi sarebbe stata in ogni caso la possibilità di adibire la ricorrente a mansioni diverse;
- lette le successive memorie depositate da entrambe le parti;
- ricordato che effettivamente, in virtù di citt. artt. 4, 4 bis e 4 ter, del decreto legge 1.04.2021, n. 44, (nel testo vigente alla data odierna, tenuto quindi conto anche delle ultime modifiche apportate dal decreto legge decreto legge 24 marzo 2022, n. 24), per gli operatori socio sanitari che come la ricorrente lavorano in strutture residenziali, socio-assistenziali e sociosanitarie, l’obbligo vaccinale è stato prorogato fino al 31.12.2022;
- ritenuto che non siano manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale che seguono (pacifica la loro rilevanza, poiché sulla base della predetta normativa, il ricorso andrebbe respinto, mentre se le questioni di legittimità fossero fondate, sarebbe accolto);
- ritenuto che sussista il dubbio che dette norme non siano conformi all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, nè all’art. 32 Cost.. Va all’uopo ricordato che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il diritto alla salute sub specie diritto all’autodeterminazione terapeutica, può trovare limitazione solo nei casi in cui sia necessario tutelare l’interesse della collettività, poiché, in caso contrario, ogni persona è libera di decidere se sottoporsi o meno a trattamenti sanitari, anche a costo di conseguenze letali. Ebbene, nel caso di specie, è chiaro che la vaccinazione è imposta al lavoratore non a tutela della salute propria, ma di quella altrui (in particolare, quelle delle persone “fragili” della struttura, in gergo “ospiti”), come del resto precisa anche il cit. comma 1 dell’art. 4, richiamato dal primo comma dell’art. 4 bis (“al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza...”). E' evidentemente del tutto legittima la preoccupazione del legislatore di tutelare la salute di dette persone, adottando le cautele necessarie al fine di evitarne il contagio da parte di coloro che lavorano nelle strutture (considerando anche con la legge 3 marzo 2009, n. 18, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite - approvata dall'Assemblea generale il 13 dicembre 2006 - sui diritti delle persone con disabilità e del relativo protocollo opzionale, sottoscritta dall'Italia il 30 marzo 2007); nondimeno, a ben osservare, l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori in questione non appare idoneo a raggiungere lo scopo che si prefigge, quello di preservare la salute degli ospiti: e qui risiede l’irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 Cost.. Può infatti considerarsi notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale, può comunque contrarre il virus e può quindi contagiare gli altri. Può dunque notoriamente accadere, ed effettivamente accade, come conferma l’esperienza quotidiana, che una persona vaccinata contragga il virus e contagi le altre persone (vaccinate o meno che siano). Come emerge dai dati forniti dal Ministero della Salute (v. https://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/dashboards/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1), nonostante l’avvio della campagna vaccinale, il numero di contagi più elevato in assoluto dall’inizio della pandemia, pari a + 220.532, è stato registrato l’11.01.2022.
Come emerge dal “REPORT ESTESO ISS (Istituto Superiore di Sanità, ndr) COVID-19:
SORVEGLIANZA, IMPATTO DELLE INFEZIONI ED EFFICACIA VACCINALE Aggiornamento
nazionale 19 gennaio 2022 – ore 12:00 DATA PUBBLICAZIONE: 21 GENNAIO 2022. Versione 2 del 23/01/2022” (v. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza- integrata-COVID-19_19-gennaio-2022.pdf), “La campagna vaccinale in Italia è iniziata il 27 dicembre 2020. Al 19 gennaio 2022, sono state somministrate 122.166.535 dosi (46.444.870 prime dosi, 47.217.348 seconde/uniche dosi e 28.504.317 terze dosi) delle 123.518.808 dosi di vaccino finora consegnate (https://github.com/italia/covid19-opendata-vaccini)... L’efficacia del vaccino (riduzione percentuale del rischio rispetto ai non vaccinati) nel:
• prevenire la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2:
- pari al 66% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 53% tra i 91 e 120 giorni, e 34,7% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale;
- pari al 66,7% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster;
• prevenire casi di malattia severa:
- pari a 95% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, 93% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni, e 89% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni;
- pari al 97,5% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster”.
Il successivo Report, “Aggiornamento nazionale 06/04/2022 – ore 12:00 DATA PUBBLICAZIONE: 08/04/2022” (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata- COVID-19_6-aprile-2022.pdf), riferisce che “La campagna vaccinale in Italia è iniziata il 27 dicembre 2020. Al 6 aprile 2022, sono state somministrate 136.040.688 dosi (47.294.685 prime dosi, 49.783.807 seconde/uniche dosi e 38.962.196 terze dosi... L’efficacia del vaccino (riduzione percentuale del rischio nei vaccinati rispetto ai non vaccinati) nel periodo di prevalenza Omicron (a partire dal 3 gennaio 2022) nel:
• prevenire la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 è:
- pari al 47% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 39% tra i 91 e 120 giorni, e 47% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale;
- pari al 66% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster;
• prevenire casi di malattia severa è:
- pari a 73% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, 75% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni, e 75% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni;
- pari al 91% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster”.
Lo stesso Ministero della Salute, inoltre, dichiara tassativamente falsa (cd fake new) l’affermazione secondo cui "Se ho fatto il vaccino contro Sars-CoV-2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l’infezione agli altri" (https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/archivioFakeNewsNuovoCoronavirus.jsp). E' quindi assodato che il mero fatto che un lavoratore si sia sottoposto al vaccino, non garantisce che egli non contragga il virus e che quindi, recandosi sul luogo di lavoro, non infetti le persone con cui ivi viene a contatto, nella specie gli ospiti della struttura sanitaria. Di qui, come detto, il dubbio sulla ragionevolezza dell’imposizione dell’obbligo vaccinale in questione: imposizione non idonea “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”. Sempre come dimostra la comune esperienza, il metodo attualmente più sicuro per impedire che un lavoratore contagi le altre persone presenti sul luogo di lavoro, è invece quello di avere la ragionevole certezza che egli non sia infetto: ragionevole certezza che, come visto, non può essere data dalla vaccinazione, bensì dalla sottoposizione periodica del lavoratore al “tampone” (indifferentemente, test molecolare, test antigenico da eseguire in laboratorio, test antigenico rapido di ultima generazione, v. https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioFaqNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italia no&id=244#7; data ultima verifica: 4 aprile 2022), che garantisce, sia pure solo temporaneamente, che egli, nei successivi 2-3 giorni in cui si reca al lavoro, non abbia contratto il virus. Non sembra allora condivisibile quella giurisprudenza secondo cui “il tampone non protegge dal virus ma al più lo rileva, ed anche la rilevazione è comunque dubbia, perché il contatto col virus potrebbe avvenire anche un minuto dopo l’effettuazione del tampone e la rilevazione del virus richiede comunque un tempo di latenza; senza considerare lo stress cui le strutture sanitarie sarebbero sottoposte se si richiedesse una sistematica verifica a mezzo tampone di tutti i lavoratori, sulla premessa della inefficacia della vaccinazione”. La tesi non persuade perché resta il fatto che la persona vaccinata, che non si sia sottoposta al tampone, può essere ugualmente infetta e può quindi ugualmente infettare gli altri: la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero. Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici e tale è il motivo per cui esso deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone, ripetesi, è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero. Quanto allo “stress” delle strutture sanitarie, è notorio che il tampone viene effettuato anche dalle farmacie e che il costo è sostenuto dal privato. Ribadito quindi che il vaccino, come attestano i fatti, non impedisce la diffusione del virus nell’ambiente di lavoro ove sono ospitate persone fragili, mentre il contrario deve ragionevolmente ritenersi per il tampone, passando ora al sindacato costituzionale di ragionevolezza in rapporto alle conoscenze scientifiche ed alla realtà fattuale, può ricordarsi che, come si legge nella sentenza n. 114/1998 del giudice delle leggi, “Questa Corte non intende certo escludere che il sindacato sulla costituzionalità delle leggi, vuoi per manifesta irragionevolezza vuoi sulla base di altri parametri desumibili dalla Costituzione, possa e debba essere compiuto anche quando la scelta legislativa si palesi in contrasto con quelli che ne dovrebbero essere i sicuri riferimenti scientifici o la forte rispondenza alla realtà delle situazioni che il legislatore ha inteso definire”. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, non appare manifestamente infondato il dubbio che l’introduzione dell’obbligo vaccinale per i lavoratori del settore in esame, costituisca una misura inidonea - e quindi irragionevole ex cit. art. 3 Cost. - a raggiungere lo scopo che si prefigge: evitare la diffusione del virus nell’ambiente di lavoro, precisamente alle persone fragili, ospiti della struttura. La norma censurata pertanto, sembra violare l’art. 3 Cost., poiché, allo scopo di evitare la diffusione del virus, impone al lavoratore un obbligo inutile e gravemente pregiudizievole del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell'obbligo vaccinale: obbligo che non si pone in necessaria correlazione con la finalità di evitare il contagio e di tutelare la salute dei terzi, vale a dire la salute pubblica. Sembra quindi doversi concludere che il bilanciamento tra i diritti costituzionali coinvolti, sia stato operato dal legislatore, che pure gode di ampia discrezionalità, in maniera manifestamente irragionevole rispetto alla finalità perseguita. Anche dal punto di vista del diritto dell’Unione europea (applicabile sia ai sensi dell’art. 53 della legge n. 234/2012 e del regolamento Ue n. 953/2021, sia perché la materia giuslavoristica costituisce un settore sostanzialmente armonizzato, coinvolgendo il principio della libera circolazione del lavoratore di un altro Stato dell’Unione, sicché la cit. disciplina nazionale appare di sicuro interesse unionale transfrontaliero; cfr. sentenza CGUE 5.12.2006 nei procc. riuniti C-94/04 e C-202/04, sentenza 30.03.2006 in C-451/03, ordinanza 17.02.2005 in C-250/03), la normativa italiana che sospende drasticamente dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sembra violare anche il principio di proporzionalità sancito dall’art. 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo cui “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta (tra cui il diritto di lavorare di cui all’art. 15 della stessa Carta, ndr) devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui” (v. anche l’art. 5 del Trattato sull’Unione europea e protocollo n. 2, versione consolidata come modificata dall’articolo 1 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificata dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, in G.U. n. 185 del 8-8-2008 - suppl. ordinario n. 188). Secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell’Unione, il rispetto del principio di proporzionalità presuppone l’adempimento di tre condizioni cumulative: attitudine, necessità e proporzionalità in senso stretto. Per attitudine, si intende l’idoneità della misura a perseguire la finalità prefissata. La condizione di necessità esige che la misura presa costituisca l’opzione arrecante il minor pregiudizio possibile agli interessi in causa. Infine, il sacrificio imposto dalla stessa deve poter essere ragionevolmente esigibile (v. ad esempio CGUE sez. grande, 8.03.2022, in C-205/20; sez. I, 21 luglio 2011, in C- 2/10; sez. VI, 16 gennaio 2003 in C-12/00; e sez. VI, 16 gennaio 2003 in C-14/00). Nella specie, la disciplina italiana, che sospende drasticamente dal lavoro e dall’intera retribuzione il lavoratore che non intende vaccinarsi, senza prevedere alcuna soluzione alternativa o intermedia, sembra violare il principio di proporzionalità sotto tutti e tre i profili, perché, come visto, non è necessaria né raggiunge lo scopo di evitare il contagio, ed impone al lavoratore un sacrificio all’evidenza completamente insostenibile, privandolo integralmente e drasticamente dell’unico mezzo che consente a lui ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (v. anche quesito n. 4 della domanda di pronunzia pregiudiziale di cui all’ordinanza 7-17.12.2021 pronunziata da questo giudice nel proc. n. 1953/2021: “Dica la Corte di giustizia se, nel caso del vaccino autorizzato dalla Commissione in forma condizionata, l’eventuale non assoggettamento al medesimo da parte del personale medico sanitario nei cui confronti la legge dello Stato impone obbligatoriamente il vaccino, possa comportare automaticamente la sospensione dal posto di lavoro senza retribuzione o se si debba prevedere una gradualità delle misure sanzionatorie in ossequio al principio fondamentale di proporzionalità”). Ed infine, l’obbligo vaccinale, oltre ad apparire irragionevole e sproporzionato, sembra anche contrario all’art. 32 Cost., poiché, come visto, non previene il contagio e non tutela quindi la collettività (nella specie, i soggetti fragili), finendo quindi col violare il diritto all’autodeterminazione terapeutica sancito da tale precetto costituzionale;
- evidenziato, sotto tale ultimo profilo, che, come di recente evidenziato dalla dottrina, l’art. 32 Cost. racchiude una molteplicità di significati: il diritto all’integrità psico-fisica e a vivere in un ambiente salubre, ma anche il diritto alle prestazioni sanitarie, alle cure gratuite per gli indigenti e quello di non ricevere trattamenti sanitari, se non di carattere obbligatorio, volti a tutelare non già solo il destinatario, ma soprattutto la collettività, come avviene nel caso delle vaccinazioni o degli interventi effettuati per la salute mentale. Il diritto alla salute presenta, quindi, una connotazione sia oppositiva che pretensiva. Oppositiva, nella parte in cui attribuisce al titolare il potere di rifiutare i trattamenti sanitari non voluti, anche se vitali. Viene all’uopo affermato il principio secondo cui ciascuno deve poter disporre della propria di salute e dell’integrità personale e in tale ambito deve essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia segua il suo corso, anche fino alle estreme conseguenze. Il baricentro del diritto alla salute è spostato dall’originaria componente pubblicistica a quella più prettamente privatistica, attraverso la progressiva centralità della componente psicologica dell’individuo, che si atteggia sia in termini oppositivi, come diritto alla protezione della salute fisica e psichica, sia, soprattutto, nella dimensione pretensiva, come diritto di disporre di sé e, sostanzialmente, di autodeterminarsi (in presenza di tali principi costituzionali, le coscienziose preoccupazioni dell’odierna datrice di lavoro per la salute del ricorrente, fondate sul decreto legislativo 9.04.2008, n. 81, sembrano dissolversi, poiché deve trovare applicazione, in capo al ricorrente, il principio di autoresponsabilità, corollario delle sue scelte in materia di salute). In materia di vaccinazioni obbligatorie, esiste un indirizzo costante del giudice delle leggi, in base al quale l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l'interesse della collettività. In particolare, la Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. a varie condizioni, tra cui quella che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri. In particolare, come affermato dalla sentenza 22 giugno 1990, n. 307, la costituzionalità degli interventi normativi che dispongano l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari (nel caso di specie si trattava del vaccino antipolio) risulta subordinata al fatto che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (nello stesso senso, v. Corte Cost. n. 132 e n. 210 del 1992, n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996). Recente conferma di tale indirizzo si rinviene anche nelle sentenze n. 5 del 2018 e n. 37 del 2021: in entrambi i casi la Corte ha ritenuto compatibile con l’art. 32 Cost la legge impositiva di un trattamento sanitario, quando quel trattamento è finalizzato, non solo a migliorare o a mantenere lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare la salute degli altri. Ciò che non accade nella fattispecie oggetto del presente procedimento, poiché, come si è visto, i fatti dimostrano che la vaccinazione obbligatoria non impedisce di contrarre il virus, né impedisce che il lavoratore infetto contagi le persone con cui viene a contatto sul luogo di lavoro. Da ciò consegue che, l’imposizione al lavoratore dell’obbligo vaccinale, non essendo idonea a preservare la salute degli altri, non sembra conforme all’art. 32 Cost.. Alla luce di tutte tali considerazioni, non può essere condivisa l’affermazione di taluna giurisprudenza secondo cui “l’utilità della vaccinazione si apprezza non solo in termini di minore rischio di diffusione della pandemia, ma anche in termini di minore gravità della malattia e specialmente di minore rischio di ospedalizzazione; con conseguente maggiore tutela del personale sanitario, che non può sottrarsi al contatto con la persona malata, e minore aggravio dei ricoveri ospedalieri, in un contesto di risorse limitate”. Il vaccino, ripetesi, non impedisce il contagio e non tutela quindi la collettività (nella specie, persone fragili), ma solo la persona che accetta di sottoporsi. Quanto al dedotto “aggravio dei ricoveri ospedalieri (delle persone non vaccinate che contraggono il virus, ndr) in un contesto di risorse limitate”, tale rilievo relativo alla finanza pubblica, non sembra sufficiente a derogare ai citt. principi vigenti in materia di diritto all’autodeterminazione terapeutica, in relazione ai quali l’art. 32 Cost. sembra prevedere la possibilità di deroga solo a tutela della salute pubblica, ma non per esigenze della finanza pubblica connesse alle spese sanitarie;
- ritenuta non manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale del comma 7 dell’art. 4 dello stesso decreto legge n. 44/2021, per contrasto sempre con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparita di trattamento (lo stesso vale per il comma 8). Il comma 7 prevede che il datore di lavoro sia tenuto ad adibire a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, solo ed esclusivamente i lavoratori di cui al comma 2, vale a dire per i lavoratori esentati dalla vaccinazione. L’art. 4 ter 2, terzo comma, del medesimo decreto legge n. 44 dell’1.04.2021, n. 44, per il personale docente ed educativo della scuola (introdotto dall’art. 8, comma 4, del decreto legge 24 marzo 2022, n. 24), prevede che “L’atto di accertamento dell’inadempimento (dell’obbligo vaccinale, per qualsiasi ragione, ndr) impone al dirigente scolastico di utilizzare il docente inadempiente in attività di supporto alla istituzione scolastica”. Ebbene, se la disciplina dell’obbligo vaccinale dei sanitari e del personale docente ed educativo della scuola, è posta al fine di tutelare la salute pubblica, sembra chiaro che il pericolo di diffusione del virus, sia uguale in capo a qualsiasi lavoratore non vaccinato del settore sanitario, indipendentemente dal fatto che la omessa vaccinazione sia dovuta ad una scelta volontaria oppure ad un accertato pericolo per la sua salute. A parità di condizione (uguaglianza del pericolo di contagio per gli ospiti ed i pazienti), non si comprende allora per quale motivo il cit. obbligo di repêchage debba sussistere solo a favore dei secondi e non anche a favore dei primi. Nè potrebbe sostenersi che, nel settore sanitario, la differenza di trattamento sia giustificata da esigenze aziendali connesse al presumibile minor numero dei lavoratori che non possono vaccinarsi, rispetto al numero di quelli che non vogliono vaccinarsi. La norma, infatti, esclude tout court, il repêchage per i secondi, a prescindere dal numero dei primi, senza invece prevederlo anche a favore dei secondi, almeno “se possibile”, vale a dire tenendo in considerazione le esigenze aziendali. Né si comprende per quale motivo l’obbligo di repêchage sussista sempre per il personale docente ed educativo della scuola, e non anche per il personale sanitario che non voglia vaccinarsi. Il cit. comma 7 sembra allora contrario all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che l’obbligo di repêchage sussista anche per i sanitari che scelgono di non vaccinarsi (ciò che sembra violare anche il predetto principio di proporzionalità);
- precisato che, stante il chiaro ed inequivocabile tenore letterale delle norme sospettate di incostituzionalità, non sembra possibile alcuna loro interpretazione costituzionalmente orientata;
- dato atto che le predette questioni di costituzionalità sono già state sollevate nel proc. n. 277/2022 RG, sicchè appare inutile sollevarle di nuovo;
- ritenuto inoltre che, allo stato degli atti, impregiudicata ogni decisione cautelare sull’obbligo di repêchage, la misura cautelare più idonea a garantire provvisoriamente il diritto della ricorrente nelle more del giudizio di merito, sia quella di riammetterla in servizio, a condizione che ella si sottoponga, per la rilevazione di SARS-COV-2, al test molecolare, oppure al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure infine al test antigenico rapido di ultima generazione, ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 negli altri due (sulla equiparazione tra tali tipi di tamponi, v. art. 4 del cit. decreto legge 24.03.2022, n. 24, e https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioFaqNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italia no&id=244#7; data ultima verifica: 4 aprile 2022);
- precisato altresì, quanto al periculum in mora, che esso sia in re ipsa, posto che la retribuzione costituisce notoriamente il mezzo che consente al lavoratore, e alla propria famiglia, di condurre - e di continuare a condurre - un’esistenza libera e dignitosa. Nella fattispecie, inoltre, non è contestato che la ricorrente è madre di due figli, di cui uno minore, e che ella è onerata dei ratei di un mutuo ipotecario ottenuto per l’acquisto dell’abitazione principale;
- ricordato altresì che, anche sotto il profilo del diritto dell’Unione, in base alla sentenza Foto-frost del 22 ottobre 1987, C-314/85, è fatta salva la possibilità del giudice nazionale di apprezzare in via cautelare la possibile illegittimità comunitaria, e pur tuttavia con obbligo di rinvio immediato alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE ai sensi della predetta sentenza Foto-frost, come letta successivamente ed autorevolmente in Zuckerfabrick del 21 febbraio1991, cause riunite C-143/88 e C-92/89: obbligo nella specie già adempiuto, essendo già pendente il procedimento C-765/21, instaurato a seguito della cit. ordinanza 7-17.12.2021;
- ritenuto che il pagamento delle retribuzioni arretrate debba essere chiesto nel giudizio di merito;
- ritenuto che la novità-complessità delle questioni imponga la compensazione delle spese del procedimento;
PQM
visti gli artt. 669 octies e 700 c.p.c.
accoglie il ricorso ed ordina alla resistente di far riprendere immediatamente il lavoro alla ricorrente, a condizione che a condizione che ella si sottoponga a proprie spese, per la rilevazione di SARS-COV-2, al test molecolare, oppure al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure infine al test antigenico rapido di ultima generazione, ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 negli altri due.
Compensa le spese del procedimento.
Si comunichi.
Padova, 28 aprile 2022
Il giudice Roberto Beghini

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