Non sussiste il concorso di colpa del lavoratore quando risulti che il datore di lavoro abbia omesso di adottare le misure di sicurezza, o abbia impartito l'ordine dal quale si è verificato l'infortunio, o abbia omesso di fornire una adeguata formazione

Tribunale di Trento Sezione Lavoro Sentenza 14/6/2022 n 78 Giudice Dr. Giorgio Flaim
In materia di infortunio del lavoratore il concorso di colpa opera entro strettissimi limiti
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N. R.G. 350/2020

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO

sezione lavoro

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella persona fisica del magistrato dott.

Giorgio Flaim pronunzia la seguente

S E N T E N Z A

nella causa per controversia in materia di lavoro promossa con ricorso depositato in data

2.8.2020

d a

XXX

rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Guarini

pec giovanni.guarini@pec.it

ricorrente

c o n t r o

ZZZZ

rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio Wegher pec

avvmauriziowegher@recapitopec.it e dall’avv. Bonifacio Giudiceandrea pec

avvbonifaciogiudiceandrea@recapitopec.it

convenuto

CONCLUSIONI DEL RICORRENTE

“Contrariis reiectiis:

accertare e dichiarare la responsabilità di ZZZ in merito al

sinistro occorso al signor XXX in data 18.5.2018;

condannare la convenuta al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non

patrimoniali subiti e subendi dal dipendente quantificati nella somma di € 176.722,64

già decurtata per quote della somma capitalizzata dall’INAIL e comprensiva di

rivalutazione ed interessi alla data odierna- o nelle diverse somme maggiori o minori

che vorrà quantificare l’Ill.mo Tribunale.

in ogni caso condannare la ZZZ in persona del legale

rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese del presente giudizio ed oneri di

legge aumentate fino al 30% Decreto Ministero, Giustizia, 08/03/2018 n° 37 oltre 15%,

CNAP e IVA con distrazione allo scrivente difensore patrono antistatario”

CONCLUSIONI DELLA SOCIETA’ CONVENUTA

“Contrariis reiectis:

in via principale:

respingere ogni e qualsiasi domanda rivolta nei confronti di ZZZ

responsabilità in capo allo stesso per i fatti dedotti in giudizio e comunque in quanto le

somme dovute al ricorrente XXX sono già stata liquidate dall’istituto INAIL

per ogni titolo o voce dovuta; con il rigetto di ogni e qualsiasi altra domanda ex

adverso formulata o formulanda e con esclusione di tutte le voci di danno non provate

da controparte in corso di causa.

in via subordinata:

nella denegata ipotesi in cui si ritenessero dovute ulteriori somme oltre quelle già

liquidate dall’INAIL, accertare e dichiarare che il sinistro per cui è causa si è

verificato per fatto e colpa concorrente del signor XXX; conseguentemente

graduare secondo giustizia i reciproci apporti colposi dei responsabili, limitando la

eventuale corresponsabilità di ZZZ a quella parte e/o percentuale

di danni attorei che risulteranno provati e conseguenza diretta della sua condotta e

dell’effettivo grado di colpa della stessa ZZZ., nella misura che sarà

accertata in corso di causa e respingendo ogni altra domanda e con esclusione delle

percentuali di danno non connesse causalmente al sinistro per cui è giudizio e

detraendo in ogni caso quanto già corrisposto al ricorrente da INAIL, INPS o

qualsivoglia altro ente e/o assicurazione in ordine al sinistro per cui è causa; detratta,

altresì, qualsivoglia somma eventualmente riconosciuta in qualsivoglia sede per il

medesimo sinistro di data 18.05.2018.

In tutti i casi con il ristoro delle competenze di lite, oltre all’IVA, al CNPA ed al

rimborso forfettario come per legge”

MOTIVAZIONE

le domande proposte dal ricorrente

Il ricorrente XXX –

premesso:

 di aver lavorato alle dipendenze della società convenuta ZZZ a decorrere dal 15.5.2018, in esecuzione di un contratto a tempo determinato e

pieno, con inquadramento nella categoria di operaio qualificato di secondo livello

CCNL Edili Artigianato;

 di essere rimasto vittima, in data 18.5.2018 di un infortunio, mentre stava svolgendo

la propria prestazione lavorativa presso un cantiere aperto dalla società datrice in

località Val Malene per l’adeguamento dell’acquedotto consorziale dei comuni di

Pieve Tesino e Cinte Tesino –

propone nei confronti della società convenuta ZZZ domanda

di risarcimento del danno non patrimoniale (danno biologico temporaneo per 120 giorni

al 100%, per 85 giorni al 75%, per 80 giorni al 50% e per 80 giorni al 25%, pari a

complessivi € 30.006,47; danno biologico permanente del 20%, pari a € 69.404,99;

danno dinamico-relazionale pari a € 10.000,00; danno morale pari a € 14.734.60) e del

danno patrimoniale (danno emergente costituito dal costo per spese mediche pari a €

1.077,21).

le ragioni della decisione

1)

il dovere di sicurezza

L’ordinamento, se da un lato attribuisce al datore di lavoro il potere di organizzazione e

direzione dell’attività d’impresa (art.2086 cod.civ.), dall’altro gli impone il dovere di

“adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,

l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità

morale dei prestatori di lavoro” (art. 2087 cod.civ., ma nel più ampio quadro costituzionale di cui agli artt. 32 e 35 Cost. alla luce dei quali è stata elaborata la nozione

del “dovere di sicurezza” correlato ad un diritto della personalità riconosciuto, come

garanzia apprestata a favore di chi esplica attività lavorativa, grazie al rilievo

costituzionale attribuito alla salute, da un lato, ed al lavoro, dall’altro).

Secondo l’opinione dominante (ex plurimis Cass. 6.11.2019, n. 28516; Cass. 19.2.2016,

n. 3291; Cass. 23.9.2010, n. 20142; Cass. 8.2.2005, n. 2444; Cass. 30.8.2004, n. 17314;

Cass. 30.7.2003, n. 11704; Cass. 23.5.2003, n. 8204; Cass. 22.3. 2002, n. 4129; Cass.

8.4.2002, n. 5024; Cass. 5.3.2002, n. 3162; Cass. 20.6.2001, n. 8381; Cass. 2.5.2000, n.

5491; Cass. 20.1.2000, n. 602;) l’art. 2087 cod. civ. costituisce la norma di chiusura del

sistema normativo antinfortunistico, della quale le disposizioni che impongono delle

cautele particolareggiate costituiscono una specificazione.

Si è, quindi, ritenuto (ex multis Cass. 9.6.2017, n. 14468; Cass. 13.10.2015, n. 20533;.

Cass. 8.5.2013, n. 10819;) integri la violazione dell’obbligo di sicurezza imposto al

datore di lavoro dall’art.2087 cod.civ. la mancata adozione sia delle particolari misure

preventive previste dalle norme speciali in relazione a ciascun tipo di attività esercitata,

sia di tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela dell’integrità

fisica e la personalità morale dei lavoratori in base all’esperienza ed alla tecnica.

Secondo orientamenti consolidati (ex multis, anche di recente, Cass. S.U. 12.3.2001,

n.99; Cass. S.U.14.12.1999, n. 900; Cass. 19.10.2018, n. 26495; Cass. 8.10.2018, n.

24742; Cass. 4.5.2018, n. 10578;), inerendo l’obbligo ex art.2087 cod.civ. al rapporto di

lavoro subordinato, la sua violazione integra un inadempimento contrattuale.

Tuttavia, sempre ad avviso della Suprema Corte (Cass. 27.6.2011, n. 14107; Cass.

11.11.2003, n. 16947; Cass. 20.6.2001, n. 8381; Cass. 26.10.1995, n. 11120;), ciò non

esclude che, qualora siano lesi diritti spettanti alla persona indipendentemente dal

contratto, concorra, in base al precetto generale del neminem laedere, anche l’azione

extracontrattuale di responsabilità ex art.2043 cod.civ. (con diverso regime in ordine

all’onere della prova – nella contrattuale il debitore danneggiante deve provare

l’adempimento o la causa a lui non imputabile che ha reso impossibile la prestazione,

nella extracontrattuale il danneggiato deve provare gli elementi sia oggettivi che

soggettivi dell’illecito – e in ordine al termine prescrizionale – decennale nella

contrattuale, quinquennale nella extracontrattuale).

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis Cass. S.U. 4.5.2004,

n. 8438; Cass. S.U. 4.11.1996, n. 9522; Cass. S.U. 2.8.1995, n. 8459;) si deve ritenere

esercitata soltanto l’azione extracontrattuale tutte le volte in cui non emerga una precisa

scelta del danneggiato in favore dell’azione contrattuale, avendo egli chiesto

genericamente il risarcimento del danno senza dedurre una specifica obbligazione

contrattuale;

di contro va considerata proposta anche l’azione di responsabilità contrattuale qualora la

domanda di risarcimento sia espressamente fondata sull’inosservanza, da parte del datore

di lavoro, di una precisa obbligazione scaturente dal contratto di lavoro.

Nel caso in esame ricorre certamente la seconda ipotesi in quanto il ricorso contiene

specifici riferimenti all’obbligazione scaturente dal contratto di lavoro subordinato per

effetto dell’art. 2087 cod.civ. (espressamente a pag. 11-20 del ricorso).

2)

la distribuzione degli oneri probatori

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte tradizionale (ex multis, anche

di recente, Cass. 8.10.2018, n. 24742; Cass. 4.2.2016, n. 2209; Cass. 29.1.2013, n. 2038;

Cass. 17.2.2009, n. 3788; Cass. 7.3.2006, n. 4840; Cass. 20.2.2006, n. 3650;), in tema di

responsabilità ex art. 2087 cod.civ., incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a

causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di

tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro nonché il nesso di causalità fra

l'una e l'altro; solo ove tale prova venga fornita sorge la responsabilità a carico del datore

di lavoro in relazione al suddetto danno, e il conseguente onere di provare l'avvenuta

adozione di tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno alla salute dei

propri dipendenti.

Solo di recente la Suprema Corte ha chiarito il significato della locuzione, atecnica e

piuttosto equivoca, “provare la nocività dell’ambiente di lavoro”;

infatti Cass. 12.6.2015, n. 12241 ha statuito (evidenziazione dello scrivente): “Allegare e

provare la nocività dell'ambiente di lavoro significa che dalla fonte dell'obbligo altrui,

che il creditore di sicurezza invoca, deve scaturire l'indicazione del comportamento che

il debitore avrebbe dovuto tenere, nel senso che dalla descrizione del fatto materiale

deve quanto meno potersi evincere una condotta del datore contraria o a misure di

sicurezza espressamente imposte da una disposizione normativa che le individua

concretamente, ovvero a misure di sicurezza che, sebbene non individuate

specificamente da una norma, siano comunque rinvenibili nel sistema dell'art. 2087

c.c..”.

Quindi la Suprema Corte, pur conservando la locuzione “allegare e provare la nocività

dell’ambiente di lavoro”, in realtà sembra allinearsi a quelle pronunce (Cass. 26.6.2009,

n. 15078; Cass. 13.8.2008, n. 21590;), le quali hanno già ritenuto che anche in

riferimento all’obbligazione di sicurezza ex art. 2087 cod. civ. trovi applicazione

l’orientamento delle Sezioni Unite (Cass. S.U. 30.10.2001, n. 13533;) in tema di prova

dell’inadempimento di un’obbligazione ex art. 1218 cod.civ., secondo le quali il creditore

che agisce per il risarcimento del danno deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza

dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere

della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento

(ciò alla luce sia del principio della presunzione di persistenza del diritto, desumibile

dall'art. 2697 cod.civ., in virtù del quale, una volta provata dal creditore l'esistenza di un

diritto, grava sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto estintivo, costituito

dall'adempimento, sia del principio di riferibilità o di vicinanza della prova, in forza del

quale la prova dell'adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetta

al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva

dell'adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione).

Lo conferma il richiamo che Cass. 12241/2015 cit. fa a Cass. S.U. 11.1.2008, n. 577,

secondo cui, ai fini del riparto dell'onere probatorio, il danneggiato attore, quale

creditore, deve limitarsi a provare il sinistro nella sua oggettività, l’insorgenza o

l'aggravamento della patologia ed il nesso causale tra i due elementi nonché ad allegare

l'inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato (e non

qualunque inadempimento), rimanendo a carico del presunto danneggiante (quale

debitore) dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo,

esso non è stato eziologicamente rilevante).

Di conseguenza, come ha statuito Cass. 21590/2008 cit., (evidenziazioni sempre dello

scrivente): “La responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 cod. civ. ha

natura contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta

integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo

di sicurezza (art. 2087 c.c.) (Cass. 25 maggio 2006 n. 12445), che entra così a far parte

del sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella

domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle

obbligazioni (Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184). La regola

sovrana in tale materia, desumibile dall'art. 1218 cod. civ., è che il creditore che agisca

per il risarcimento del danno deve provare tre elementi: la fonte (negoziale o legale) del

suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione; a tale scopo egli

può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della

controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il

proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile

(Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza

delle sezioni civili di questa Corte successiva: ex plurimis Cass. 25 ottobre 2007 n.

22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351, Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743). Nell'applicare tali

fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in

particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilità del danno da

infortunio sul lavoro, questa Corte ha ritenuto, ad es., in caso di infortunio provocato

dall'uso di un macchinario, che il lavoratore deve provare il nesso causale tra uso del

macchinario ed evento dannoso, restando gravato il datore di lavoro dell'onere di

dimostrare di avere osservato le norme stabilite in relazione all'attività svolta, nonché

di avere adottato, ex art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità del

lavoratore (Cass. 1 ottobre 2003 n. 14645, Cass. 28 luglio 2004 n. 14270);

analoga soluzione in caso, ad es., di caduta accidentale di operaio edile da palazzo in

costruzione, dove nessuno sostiene che tocchi al lavoratore provare l'inadempimento del

datore di lavoro all'obbligo di sicurezza nell'apprestamento delle opere provvisionali. La

formulazione che si rinviene in alcune pronunce di questa Corte, secondo cui il

lavoratore infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento del

datore di lavoro all'obbligo di sicurezza (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184, Cass. 11 aprile

2006 n. 8386, Cass. 25 maggio 2006 n. 12445, Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, 19 luglio

2007 n. 16003) non appare conforme al principio enunciato dalle Sezioni Unite (e con

l'applicazione coerente che ne ha fatto questa Sezione Lavoro nei casi sopra citati), e

non può pertanto più essere seguita.

Il principio sopra esposto non comporta l'affermazione di una responsabilità oggettiva

ex art. 2087 cod. civ., nella stessa misura in cui l'allegazione del mancato pagamento di

una somma di denaro non comporta una responsabilità oggettiva del debitore, ai sensi

dell'art. 1218 cod. civ.. La colpa del danneggiante è essenziale per qualsiasi tipo di

responsabilità civile…”;

analogamente Cass. 15078/2009 cit. ha ulteriormente precisato, sempre con specifico

riferimento alla responsabilità ex art. 2087 cod.civ., che “ai sensi dell'art. 1218 c.c., in

linea con quanto affermato in generale nell'interpretazione di tale norma codicistica da

Cass. S.U. 30 ottobre 2001 n. 13533 nonché secondo quanto applicato nello specifico

dalla giurisprudenza recente di questa sezione (cfr. Cass. 13 agosto 2008 n. 21590),

grava sul lavoratore l'onere di dedurre e provare l'esistenza della obbligazione

lavorativa, del danno e del nesso di causalità tra quest'ultimo e la prestazione mentre il

datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e

pertanto di avere adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le

misura per evitare il danno”.

In definitiva il peculiare contributo fornito da Cass. 12241/2015 cit. è costituito dalla

precisazione che l’inadempimento, che il lavoratore creditore ha l’onere di allegare, non

può essere un inadempimento qualsiasi, ma deve essere un inadempimento astrattamente

idoneo a provocare il danno lamentato, nel senso che dalla descrizione del fatto

materiale, che egli ha l’onere di effettuare, deve potersi evincere una condotta del datore

contraria o a misure di sicurezza espressamente imposte da una disposizione normativa

che le individua concretamente, ovvero a misure di sicurezza che, sebbene non

individuate specificamente da una norma, siano comunque rinvenibili nel sistema

dell’art. 2087 cod.civ..

Più di recente una pronuncia (Cass. 6.11.2019, n. 28516) – richiamando l’orientamento

(Cass. 26.4.2017, n. 10319; Cass. 2.7.2014, n. 15082; Cass. 25.5,.2006, n. 12445;),

secondo cui gli oneri a carico di ciascuna delle parti devono essere modulati a seconda

che le misure di sicurezza siano espressamente e specificamente definite dalla legge o da

altra fonte ugualmente vincolante, in relazione a una valutazione preventiva di rischi

specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 cod.civ., che impone

l'osservanza del generico obbligo di sicurezza: nel primo caso grava sul lavoratore

l’onere di allegare la violazione della misura di prevenzione nominata, in cui consiste, a

suo dire, l’inadempimento del datore, mentre la prova liberatoria incombente sul datore

consiste nel dimostrare l’inesistenza dei fatti allegati dal lavoratore; nel secondo caso

grava sul lavoratore l'onere di allegare la violazione dei canoni di diligenza, prudenza e

perizia, in cui consiste la colpa generica, mentre la prova liberatoria incombente sul

datore consiste nel provare di aver adottato comportamenti specifici, che, sebbene non

individuati dalla legge, sono suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli

standards di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti – ha

statuito che la nocività dell’ambiente di lavoro, che il lavoratore ha l’onere di allegare,

consiste nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della

prestazione lavorativa.

Qualora la causa della mancata attuazione dell’obbligo di sicurezza rimanga ignota, il

sistema della distribuzione degli oneri probatori, ponendo a carico del datore di lavoro

danneggiante l’onere di provare (o l’adempimento o) che l’inadempimento sia dovuto a

causa a lui non imputabile, prescrive che le conseguenze patrimoniali negative restino a

carico del debitore oggettivamente inadempiente danneggiante (Cass. 17.2.2014, n. 3612;

Cass. 3.2.2011, n. 2559;) e, quindi, nel caso di danno astrattamente derivante dalla

mancata attuazione dell’obbligo di sicurezza, a carico del datore di lavoro (Cass.

24.2.2006, n. 4184).

In definitiva, alla luce di questi insegnamenti, può sinteticamente concludersi che:

A)

sul lavoratore infortunato, che agisce a tutela del diritto alla sicurezza ex art. 2087

cod.civ., grava l’onere:

1) di provare l’esistenza

(a) del titolo contrattuale da cui scaturisce l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 cod.civ., (b)

del danno subito,

(c) del nesso causale tra lo svolgimento della prestazione e il danno,

nonché

2) di allegare i fattori di rischio ai quali era esposto in ragione delle modalità della

prestazione lavorativa e l’inadempimento del datore di lavoro astrattamente idoneo a

provocare il danno lamentato, consistente nella violazione o della misura di prevenzione

nominata o dei canoni dei canoni di diligenza, prudenza e perizia, in osservanza dei quali

il datore è tenuto a salvaguardare l'integrità psico-fisica dei lavoratori

B)

sul datore di lavoro presunto danneggiante (e sui soggetti titolari di posizioni di garanzia)

grava l’onere di dimostrare di aver adempiuto l’obbligo di sicurezza, o osservando le

misure di prevenzione nominate o adottando comportamenti che, sebbene non specificati

dalla legge, sono suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di

sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti, vale a dire che

l’eventuale danno non è riconducibile al suo inadempimento, oppure che l’eventuale

inadempimento non è stato eziologicamente rilevante nella produzione del danno o che le

prestazioni in cui consisteva l’adempimento sono divenute impossibili per causa a lui

non imputabile.

Qualora la causa dell’inadempimento astrattamente idoneo a provocare il danno

lamentato dal lavoratore danneggiato rimanga ignota, il datore di lavoro danneggiante

non ha assolto gli oneri probatori a suo carico e quindi risponde del risarcimento di quel

danno.

3)

l’infortunio occorso al ricorrente in data 18.5.2018

A) gli oneri probatori a carico del ricorrente

(a)

E’ incontestato che:

 il ricorrente XXX all’epoca dell’infortunio (18.5.2018), lavorava

alle dipendenze della società convenuta ZZZ

 al momento dell’infortunio il ricorrente stava eseguendo prestazioni in esecuzione di

quel rapporto di lavoro subordinato, in particolare presso un cantiere aperto dalla

società datrice in località Val Malene per l’adeguamento dell’acquedotto consorziale

dei comuni di Pieve Tesino e Cinte Tesino –

Quindi il ricorrente XXX era certamente titolare del credito di sicurezza

ex art. 2087 cod.civ. nei confronti della società convenuta ZZZ

(b) e (c)

E’ pure incontestato che il ricorrente, all’esito dell’infortunio, è stato trasportato presso

l’ospedale di S, Chiara di Trento, dove, alla luce del certificato del Pronto Soccorso sub doc. 19 fasc. ric., gli venivano diagnosticate delle lesioni (“Politrauma con frattura

iliaca ala sinistra e tetto acetabolare, frattura composta processo trasverso destro di L5

(869)”).

Risulta, quindi, assolto dal lavoratore danneggiato l’onere di provare il danno (quanto

meno nell’an) e il nesso causale tra lo svolgimento della prestazione lavorativa e il

danno.

B) l’onere di allegazione a carico del ricorrente

Il ricorrente ha assolto gli oneri, su di lui incombenti come più sopra già evidenziato, di

allegazione degli inadempimenti della società convenuta astrattamente idonei a

provocare il danno lamentato, indicando nel proprio atto introduttivo le seguenti

circostanze:

a)

il giorno del sinistro il ricorrente stava partecipando a lavori consistenti nell’esecuzione

di uno scavo in trincea, nella successiva posa delle tubazioni ed infine nel ripristino del

terreno;

poco prima dell'infortunio era iniziata la posa di un pozzetto in calcestruzzo sul fondo di

uno scavo; il pozzetto veniva movimentato mediante l'utilizzo di un escavatore di marca

Casa, tipo CX 135, che era manovrato da altro dipendente della società convenuta, tale

Dal Molin Fabrizio; il pozzetto veniva abbassato lentamente all'interno dello scavo fino a

una distanza di circa sopra il piano di posa;

a quel punto l’operaio XXX, odierno ricorrente, scendeva all’interno

dello scavo per direzionare manualmente il pozzetto in modo che potesse essere

posizionato nella giusta posizione;

conclusa l’operazione, il manovratore dell’escavatore Dal Molin, ritenendo che il

pozzetto non fosse stato collocato correttamente, lo sollevava all’incirca 40-50 cm. dal

piano di appoggio; nel frattempo il ricorrente si era spostato, pur tenendo le mani sopra il

bordo del manufatto;

a quel punto il pozzetto subiva un'improvvisa, quanto brusca, oscillazione, con uno

spostamento laterale che determinava l'investimento di XXX, il quale

veniva spinto contro la parete dello scavo;

b)

ad avviso del ricorrente l’evento infortunistico, di cui è rimasto vittima, è

eziologicamente collegato alle condotte tenute dalla società datrice ZZZ la quale:

 in violazione dell’art. 37 co.1 e 2 d.lgs.81/2008, ha omesso di impartire al ricorrente

una formazione specifica per la posa dei pozzetti ed anche la formazione obbligatoria

di 16 ore (questi aveva frequentato un corso generico soltanto per quattro ore); anche

il manovratore dell'escavatore _____ non aveva ricevuto una formazione specifica

per la posa dei pozzetti;

 in violazione dell’art. 71 co.3 d.lgs. 81/2008 (in riferimento all’ allegato VI co. 2.2.)

aveva omesso di adottare misure tecniche e organizzative volte ad impedire che il

ricorrente operasse nella zona di attività dell'escavatore escavatore, dove esiste il

rischio di essere investiti dal carico movimentato; specifiche prescrizioni in proposito

erano contenute nel documento di valutazione dei rischi sub doc. 10 (“allontanarsi

dal raggio di azione della macchina quando vengono sollevati dei carichi”), nel piano

operativo della sicurezza sub doc. 11 (“durante la movimentazione dei vari

manufatti di operatore del sistema di sollevamento allontanerà eventuali persone nel

raggio di azione/pericolo della macchina…”) e nel piano di sicurezza e

coordinamento sub doc. 12 (durante le operazioni di scarico e di posa di tubazioni e

pozzetti “nessun operatore dovrà sostare sotto il carico o in posizione tale da poter

essere investito in caso di una sua oscillazione o caduta. Nel caso fosse necessario

trattenere gli elementi per evitare rotazioni oscillazione durante il sollevamento si

utilizzeranno delle funi di rinvio in maniera tale da poter operare la posizione

sicura”);

 in violazione dell’art. 18 co.1 lett. f) d.lgs. 81/2008, la società datrice non ha preteso

dai lavoratori l'osservanza delle suddette disposizioni in materia di sicurezza.

C) le difese svolte dalla società datrice convenuta in ordine ai propri oneri allegatori e

probatori

La società datrice convenuta ZZZZ. – oltre a contestare, in verità

genericamente ed apoditticamente, la dinamica del sinistro allegata dal ricorrente e la

violazione, da parte sua, delle prescrizioni contenute nel documento di valutazione dei

rischi e nel piano operativo di sicurezza – si sofferma soprattutto sul fatto che il

ricorrente si era già occupato in precedenti rapporti di lavoro subordinato dell'attività di

posa delle condotte negli pozzetti in calcestruzzo e inoltre aveva ricevuto la formazione

necessaria allo svolgimento delle mansioni.

Inoltre sostiene che ZZZ, in qualità di preposto, aveva impartito ai due lavoratori

le istruzioni circa le attività da svolgere nel cantiere, in particolare sugli accorgimenti da

osservare in termini di distanza dall'operatore e mezzo in movimento.

Infine invoca il principio di autoresponsabilità del lavoratore ex art. 20. co.2 d.lgs.

81/2008.

D) l’eziologia oggettiva del sinistro

La generica contestazione, espressa dalla società convenuta, a pag. 3 del suo atto

introduttivo, circa la “dinamica del sinistro”, non inficia minimamente la ricostruzione

dell’accaduto effettuata dall’ispettore del lavoro Tonelli nella relazione del 13.12.2019

(doc. 00 fasc. ric.), che, anzi, le parti hanno considerato il contesto di fatto (il ricorrente

riportando quasi testualmente ampi passi di quella relazione, la società convenuta

omettendo qualsiasi specifica critica) nell’ambito del quale hanno svolto le rispettive

difese.

Orbene l’ispettore del lavoro ha accertato:

“Il giorno 18.05.2018, nel primo pomeriggio, Tasin Paolo iniziava a lavorare con l'escavatore

mentre Dal Molin e Saad, su incarico dello stesso Tasin, iniziavano la posa di un pozzetto in cis sul

fondo di uno scavo contraddistinto in progetto con la sigla "P03b".

Il pozzetto in cls prefabbricato aveva dimensioni esterne pari a cm 130xl50, una altezza di cm 50

ed un peso di kg 820, (ali. scheda) e la sua movimentazione avveniva tramite l'utilizzo

dell'escavatore di marca CASE tipo CX 135 SR marcato CE, manovrato da ______.

Il pozzetto veniva movimentato tramite un accessorio di sollevamento costituito da un

tirante di imbracatura in catena a due tratti della lunghezza di circa cm l00-120 (all.2.5).

L'imbracatura veniva ancorata al gancio posto sulla benna del mezzo, mentre i ganci posti

all'estremità delle due catene venivano ancorati ad un tondino in acciaio inserito orizzontalmente

nei fori posti sulle 2 pareti opposte del pozzetto.

Dopo avere effettuato l'ancoraggio, _____ iniziava a percorrere un breve tratto di strada e subito

dopo avere oltrepassato un piccolo ponte si direzionava con il braccio sopra lo scavo avvicinandosi

con i cingoli sul bordo dello stesso per poi iniziare a comandare l'abbassamento del braccio e

quindi del pozzetto sul fondo dello scavo posto ad una profondità di circa mt 2,00. Il pozzetto

veniva abbassato lentamente all'interno dello scavo fino ad una distanza di circa l0-20 cm sopra il

piano di posa ed a questo punto il XXX che aveva seguito la manovra da sopra lo scavo,

scendeva all'interno dello stesso per direzionare manualmente il manufatto e tenerlo fermo dalle

oscillazioni in modo tale che potesse essere calato nella giusta posizione. Al termine di tale

operazione il XXX riteneva che il pozzetto fosse collocato correttamente e poteva essere

sganciato, invece per ___ il pozzetto non si trovava nella giusta posizione, pertanto doveva

essere sollevato e leggermente spostato tramite il braccio del mezzo e durante tale operazione si

verificava l'infortunio.

In merito a quanto ricostruito dai due lavoratori si può riferire quanto segue.

Il ______ prima di iniziare la breve manovra di spostamento del pozzetto avvisava il Saad, il

quale si spostava con il corpo tenendo comunque le mani sopra il bordo dello stesso in attesa della

manovra per rallentare le oscillazioni. Dalle dichiarazioni del Saad, il pozzetto veniva sollevato di

circa 40-50 cm dal piano di appoggio e subito subiva una brusca improvvisa oscillazione con

spostamento laterale a seguito del quale il lavoratore veniva investito e spinto contro la parete dello

scavo. ______ non ricorda con precisione le manovre effettuate e non ha saputo spiegare le

cause di tale improvviso spostamento laterale del pozzetto sicuramente verificatosi nel corso della

sua movimentazione con l'escavatore. A tale riguardo il ______ non riconosce di avere effettuato

uno sbaglio di manovra ed il brusco spostamento del pesante manufatto potrebbe essere stato

provocato da varie possibili cause quali una scorretta imbracatura, un piano di appoggio dei cingoli

non orizzontale oltre che da una brusca fortuita manovra in cabina sulla leva di comando, possibili

accidentali situazioni per le quali è necessario che l'operatore rimanga lontano dal raggio di azione dell'escavatore”.

Appare, quindi, evidente che l’infortunio è avvenuto in quanto il ricorrente SAAD scese

all’interno dello scavo per soddisfare una precisa e concreta esigenza produttiva,

costituita dalla necessità di direzionare manualmente il pozzetto, evitando così che avesse

delle oscillazioni, affinché il manufatto venisse collocato nella giusta posizione.

Sennonché, mentre veniva effettuata dal manovratore del mezzo meccanico utilizzato (un

escavatore con benna) _____ tale operazione di posa, il manufatto subì

improvvisamente una brusca oscillazione e, spostandosi lateralmente, investì il ricorrente,

spingendole violentemente contro una parete dello scavo, dato che questi si trovava nelle

immediate vicinanze al fine di direzionare manualmente il pozzetto.

E) le valutazioni in ordine alle condotte tenute dalle parti in occasione dell’infortunio de

quo

Il rischio dal quale si è concretizzato l’infortunio e le misure di prevenzione volte a

neutralizzarlo erano stati ampiamente previsti nei documenti che la disciplina in tema di

tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro impone al datore di lavoro o a suo

incaricato di redigere.

Infatti, come ha già rilevato l’ispettore Tonelli e richiamato integralmente dalla difesa del

ricorrente:

 nel documento di valutazione dei rischi sub doc. 10 è previsto (pag. 166) che tra le

“misure di prevenzione e protezione” da adottare quando viene utilizzato l’escavatore

vi è anche quella di “allontanare tutti i lavoratori presenti dal raggio di azione della

macchina durante le normali attività lavorative”;

 nel piano operativo della sicurezza sub doc. 11 è prescritto (pag. 72) che nello

svolgimento dei lavori di “posa di pozzetti e chiusini”, “durante la movimentazione

dei vari manufatti l’operatore del sistema di sollevamento allontanerà eventuali

persone nel raggio di azione/pericolo della macchina…”);

 nel piano di sicurezza e coordinamento sub doc. 12 viene imposto (pag. 121) che,

durante le operazioni di “posa di tubazioni e pozzetti”, “nessun operatore dovrà

sostare sotto il carico o in posizione tale da poter essere investito in caso di una sua

oscillazione o caduta. Nel caso fosse necessario trattenere gli elementi per evitare

rotazioni oscillazione durante il sollevamento si utilizzeranno delle funi di rinvio in

maniera tale da poter operare la posizione sicura”.

Orbene:

l’art. 28 co.2 d.lgs. 9.4.2008, n. 81 dispone che il documento di valutazione dei rischi ex

art. 17 co. 1, lett. a) deve contenere: “… b) l'indicazione delle misure di prevenzione e di

protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati a seguito della

valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a);… d) l'individuazione delle

procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli

dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati

unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;”;

l’art. 100 co.3 dispone: “I datori di lavoro delle imprese esecutrici e i lavoratori

autonomi sono tenuti ad attuare quanto previsto nel piano di cui al comma 1 e nel piano

operativo di sicurezza”.

Risulta evidente che il documento di valutazione dei rischi ex art. 17 co. 1, lett. a) d.lgs.

cit. nonché i piani di sicurezza e di coordinamento costituiscono fonte di regole cautelari,

le cui violazioni integrano illeciti penali di natura colposa, e di misure necessarie a

tutelare l’integrità fisica dei lavoratori, le cui violazioni integrano inadempimenti, pure di

natura colposa, dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 cod.civ..

Vi è anche, come già rilevato dall’ispettore Tonelli, una pertinente regola cautelare di

fonte legale, rappresentata dal combinato disposto dell’art. 71 co.3 d.lgs. cit. (“Il datore

di lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro

e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo

condizioni per le quali non sono adatte, adotta adeguate misure tecniche ed

organizzative, tra le quali quelle dell'allegato VI.”) e del punto 2.2. dell’allegato VI (“Si

devono prendere misure organizzative atte e evitare che lavoratori a piedi si trovino nella

zona di attività di attrezzature di lavoro semoventi. Qualora la presenza di lavoratori a

piedi sia necessaria per la buona esecuzione dei lavori, si devono prendere misure

appropriate per evitare che essi siano feriti dalle attrezzature”).

La società datrice risulta gravemente inadempiente:

vi era una precisa e concreta esigenza produttiva, rappresentata dalla necessità che in

fondo allo scavo il pozzetto venisse collocato in posizione corretta;

a tal fine era necessario che in quel momento il pozzetto non subisse oscillazioni;

era, quindi, indispensabile che venisse direzionato manualmente;

a tal fine, come si è già ricordato, il piano di sicurezza e coordinamento (doc. 12 fasc.ric.,

pag.121) imponeva, proprio con riferimento alle operazioni di “posa di tubazioni e

pozzetti”, una precisa prescrizione (“Nel caso fosse necessario trattenere gli elementi per

evitare rotazioni o oscillazione durante il sollevamento si utilizzeranno delle funi di

rinvio in maniera tale da poter operare da posizione sicura” e un tassativo divieto

(“nessun operatore dovrà sostare sotto il carico o in posizione tale da poter essere

investito in caso di una sua oscillazione o caduta”);

invece la società datrice soddisfò la necessità di evitare che il pozzetto subisse

oscillazioni, mediante la violazione del divieto e l’omessa attuazione della prescrizione;

infatti, al fine di direzionare il pozzetto, il ricorrente scese nello scavo e si collocò in una posizione tale da esporsi al rischio di investimento in caso di oscillazione; inoltre è

pacifico che la società datrice non mise a disposizione né le funi, né un’ulteriore addetto

necessari ad attuare la misura di prevenzione.

In proposito occorre richiamare la deposizione testimoniale dell’ispettore Tonelli, il quale

ha dichiarato: “In rifermento alle funi di rinvio menzionate dal PSC, nel caso

dell’operazione che veniva svolta al momento del sinistro, effettivamente il loro impiego

sarebbe stato necessario al fine di evitare che il pozzetto avesse durante la

movimentazione delle rotazioni o oscillazioni. Preciso che mediante queste funi è

possibile per uno o meglio due operatori controllare i movimenti del pozzetto stando a

debita distanza”.

La mancata messa a disposizione, da parte della società datrice, delle funi e dell’ulteriore

persona necessari ad attuare la misura di prevenzione comprovano che la stessa datrice

non solo non ne richiese l’osservanza, con conseguente violazione, pure rilevata

dall’ispettore, dell’art. 18 co.1, lett. f) d.lgs. cit., secondo cui il datore di lavoro deve

“richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle

disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di

protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione”),

ma neppure ne diede attuazione, con conseguente violazione sia della regola cautelare

inserita nel piano di sicurezza e coordinamento, sia della norma preventiva di fonte legale

ex art. 71 co.3 d.lgs. cit. e punto 2.2. dell’allegato VI.

Appare così persuasivo l’assunto svolto dall’ispettore Tonelli nella sua relazione, secondo

cui: “Nell'ambito delle procedure aziendali il datore di lavoro ZZZ non ha

previsto un sistema di controllo da attuare in merito alla vigilanza sull'applicazione

corretta delle disposizioni definite nel POS e nel PSC nella particolare attività di posa

negli scavi dei pozzetti con l'uso dell'escavatore, attraverso la pianificazione delle

relative sequenze lavorative, la definizione delle distanze di sicurezza dal mezzo,

indicando ed incaricando le figure soggette al rispetto di tale intervento, nonché le

modalità di richiamo in caso di non osservanza”.

Risulta così palese anche la totale inverosimiglianza delle circostanze oggetto dei capitoli

di prova offerti dalla società convenuta1

e ritenuti, con l’ordinanza istruttoria pronunciata

all’udienza del 29.6.2021, inammissibili “in quanto afferenti a circostanze generiche”.

- - -

Le parti hanno a lungo discettato in ordine al rispetto o meno, da parte della società

datrice, dell’obbligo di formazione ex art. 37 co.1 d.lgs. cit. (“1. Il datore di lavoro

assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia

di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare

riferimento a: a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della

prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza,

controllo, assistenza; b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti

misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di

appartenenza dell'azienda”).

1

“8) il XXX aveva ricevuto da ZZZ indicazioni in ordine all’utilizzo

dei dispositivi di protezione individuale, alle modalità di espletamento dell’attività lavorativa richiesta ed

ai comportamenti da assumere per lo svolgimento in sicurezza delle mansioni;

9) il preposto, signor YYY, è presente quotidianamente sul cantiere o visita costantemente il cantiere

vigilando sul corretto espletamento delle mansioni da parte dei dipendenti e sul rispetto da parte degli

stessi delle norme in materia di sicurezza;

10) il preposto, signor YYY, indica ai dipendenti le attività da svolgere e fornisce agli stessi le

direttive necessarie per l’espletamento delle attività richieste;

11) il preposto, signor YYY, fornisce ai dipendenti le direttive per il sollevamento -a mezzo

dell’escavatore Case CX135SR e con l’utilizzo dell’attrezzatura in dotazione- delle prolunghe e dei

pozzetti indicando altresì i punti di ancoraggio;

12) il preposto, signor YYY, verifica il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale ed

indica le misure di sicurezza da assumere, ivi compresi i comportamenti da tenere e le distanze da

osservare nel caso di macchine operatrici in movimento;”

In ragione delle pregresse esperienze è probabile che sia il ricorrente, sia il manovratore

Dal Molin fossero in grado di percepire che il primo, scendendo nello scavo e ponendosi

a stretto contatto con il pozzetto, al fine di direzionarlo manualmente per favorire una sua

corretta collocazione, si esponeva al rischio di essere investito dal manufatto nel caso di

oscillamento.

Ciò che ha omesso la società datrice, è, in realtà, l’adempimento dell’obbligo di

informazione ex art. 36 co.2 lett. a) d.lgs. cit., secondo cui: “Il datore di lavoro provvede

altresì affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione: a) sui rischi

specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le

disposizioni aziendali in materia;”, come si evince agevolmente ancora dalla mancata

messa a disposizione, da parte della società datrice, delle funi e dell’ulteriore persona

necessari ad attuare la misura di prevenzione, che avrebbe dovuto essere adottata (quella

prevista a pag. 121 del piano di sicurezza e coordinamento).

Anche l’ispettore Tonelli, pur riferendosi al diverso obbligo di formazione ex art. 37

d.lgs. cit. sembra, alle luce dei fatti dedotti (“Per avere omesso di impartire nei confronti

dei 2 lavoratori XXX e _____, una informazione-formazione specifica anche in

riferimento alla propria mansione, in merito all'operazione di posa dei pozzetti mediante

l' uso dell'escavatore svolta al momento dell' infortunio, allo scopo di poter far conoscere

i rischi cui erano esposti tra i quali quello di essere investiti dai carichi movimentati ed

acquisire precise conoscenze e procedure operative da rispettare necessarie per un

corretto e sicuro intervento…”) in realtà riferirsi alle medesime condotte.

- - -

Già la marginale rilevanza che assume nella vicenda la formazione posseduta dal

ricorrente, a fronte degli inadempimenti, di cui la società datrice si è resa responsabile

(omessa attuazione delle misure di prevenzione previste nei documenti relativi alla

sicurezza, violazione di norme di fonte legale) escludono la configurabilità di un concorso

di colpa a carico del ricorrente.

La stessa statuizione è imposta anche dal recente orientamento della Cassazione civile

(Cass,. 21.9.2021, n. 25597; Cass. 15.5.2020, n. 8988; Cass. 25.11.2019, n. 30679;), la

quale esclude la sussistenza di un concorso di colpa della vittima ai sensi dell'art. 1227 co.

1 cod.civ. (al di fuori dei casi cd. di rischio elettivo), quando risulti che il datore di lavoro

abbia omesso di adottare le prescritte misure di sicurezza, oppure abbia egli stesso

impartito l'ordine, nell'esecuzione puntuale del quale si è verificato l'infortunio, o ancora

abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed

informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l'eventuale condotta imprudente

della vittima degrada a mera occasione dell'infortunio ed è, pertanto, giuridicamente

irrilevante.

- - -

In definitiva deve ritenersi accertato che l’infortunio, occorso al ricorrente XXX in data 18.5.2018, durante lo svolgimento delle sue prestazioni alle

dipendenze della società convenuta ZZZ  è eziologicamente

collegato alle condotte colpose della medesima società, quale datore di lavoro del

ricorrente.

4) i danni risarcibili

Il ricorrente allega che – a causa delle lesioni subite per effetto dell’infortunio del

18.5.2018 e attestate nella documentazione sanitaria sub doc. 2.3. e da 19 a 26 fasc. ric. –

ha riportato menomazioni temporanee e permanenti da cui sono derivati danni di natura

non patrimoniale e patrimoniale.

Ai fini dell’accertamento e della quantificazione di tali danni, è necessario, alla luce dei

contrasti manifestatisi sul punto tra le parti, avvalersi di c.t.u..

Tuttavia appare opportuno fin d’ora svolgere le osservazioni che seguono in ordine alla

domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali proposta dal

lavoratore infortunato.

1) in ordine alla domanda di risarcimento dei danni patrimoniali

A) i principi dettati dalle Sezioni Unite

La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale deve essere esaminata alla luce

degli insegnamenti dell’ormai celebre Cass. S.U. 26.11.2008, n. 26972 (conf. ex multis

Cass. 2.4.2019, n. 9112; Cass. 23.2.2016 n. 3505; Cass. 20.8.2015, n. 16992; Cass.

8.5.2015, n. 9320; Cass. 8.7.2014, n. 15491; Cass. 19.2.2013, n. 4043;).

Nella presente controversia assumono particolare rilievo le seguenti considerazioni:

a)

Il danno non patrimoniale si identifica con il danno (danno conseguenza) determinato

dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica (danno

evento in senso giuridico); quindi si differenzia dal danno patrimoniale in punto di danno

evento ossia di lesione dell’interesse protetto.

b)

Il risarcimento del danno non patrimoniale esige in primo luogo la sussistenza di tutti gli

elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile che si ricavano dall’art. 2043

cod.civ. e che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di

danno, nell’evento di danno connotato dall’ingiustizia determinata dalla lesione non

giustificata di interessi meritevoli di tutela (danno evento) ed infine nel pregiudizio che

ne consegue (danno conseguenza).

c)

A differenza del danno patrimoniale (il quale è connotato da atipicità poiché l’ingiustizia

del danno di cui all’art. 2043 cod.civ. postula la lesione di qualsiasi interesse

giuridicamente rilevante), il danno non patrimoniale è connotato da tipicità in quanto è

risarcibile solo nei casi determinati dalla legge (come prescrive l’art. 2059 cod.civ.) e nei

casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti

inviolabili della persona (in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai

diritti costituzionali inviolabili);

quindi la risarcibilità del danno non patrimoniale richiede, sul piano dell’ingiustizia del

danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno, selezione che

avviene a livello normativo negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di

interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua

della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente

presidiato dalla minima tutela risarcitoria;

in questa seconda ipotesi la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona

espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù

dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito

all’interprete rinvenire nel complesso sistema costituzionale indici che siano idonei a

valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti

per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della

persona umana.

d)

In virtù del disposto ex art. 185 cod.pen., nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri

come reato il danno non patrimoniale (danno conseguenza) è risarcibile non solo se

consegua alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili, ma nella sua più ampia

accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non

presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento secondo il

criterio dell’ingiustizia ex art. 2043 cod.civ.;

infatti in questo caso la tipicità deriva dalla scelta del legislatore di considerare risarcibili

i danni non patrimoniali cagionati da reato, scelta che comunque implica la

considerazione della rilevanza dell’interesse leso, desumibile dalla predisposizione della

tutela penale.

e)

Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della

minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili

della persona (danno evento) che abbia determinato un danno non patrimoniale (danno

conseguenza) comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della

responsabilità, contrattuale o extracontrattuale;

quindi, se l’inadempimento dell’obbligazione determina, oltre alla violazione degli

obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto

inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale

potrà essere versata nell’azione di responsabilità contrattuale (senza dover ricorrere

all’espediente del cumulo di azioni).

f)

L’individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi

nell’area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere

non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi

come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del

modello, anche tipico, adoperato.

L’esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di

interessi non patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona,

viene meno nel caso in cui l’inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della

legge;

è questo il caso del contratto di lavoro, in riferimento al quale l’art. 2087 cod.civ.,

inserendo nell’area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di valutazione

economica (l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro) già implica,

che nel caso in cui l’inadempimento abbia provocato la loro lesione, è dovuto il

risarcimento del danno non patrimoniale;

il presidio di detti interessi della persona ad opera della Costituzione, che li ha elevati a

diritti inviolabili, ha poi rinforzato la tutela, con la conseguenza che la loro lesione è

suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenza sotto il profilo

dell’integrità psicofisica (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della

lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2, 4, 32 Cost.), come avviene nel caso

dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvono nella

compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si

svolge nella formazione sociale costituita dall’impresa.

g)

Il danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria non suscettiva di

suddivisione in sottocategorie.

Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno

biologico, danno da perdita del rapporto parentale, danno morale, danno esistenziale)

risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di

danno;

quindi il compito del giudice è l’accertamento dell’effettiva consistenza del pregiudizio

allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quale ripercussioni negative

sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione;

infatti il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve

ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre.

Il danno biologico, consistente nel pregiudizio all’integrità psico-fisica della persona,

costituisce certamente conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona

espressamente riconosciuto dalla Costituzione, qual è il diritto alla salute ex art. 32 Cost.;

lo stesso vale per il danno consistente nella perdita del rapporto parentale, il quale attiene

alla lesione dei diritti della famiglia ex artt. 2, 29 e 30 Cost..

Di contro il danno morale – consistente nella sofferenza soggettiva in sé considerata ed

attinente alla sfera interiore del sentire ovvero nel turbamento d’animo o nel dolore

intimo (la cui intensità e durata nel tempo assume rilevanza ai fini solo della

quantificazione del risarcimento e non già dell’esistenza del danno, con conseguente

abbandono della tradizione figura del cd. danno morale soggettivo transeunte) – ed il

danno esistenziale – indicante pregiudizi di ordine esistenziale, quali il peggioramento

della qualità della vita, l’alterazione del fare non reddituale, l’adottare nella vita di tutti i

giorni comportamenti diversi da quelli passati – non costituiscono necessariamente

conseguenza della lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti;

nell’ipotesi in cui il fatto illecito integri un reato essi sono, grazie al disposto ex art. 185

c.p.(che stabilisce la generale risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da reato),

suscettibili di risarcimento non solo quando siano conseguenza della lesione di diritti

costituzionalmente inviolabili, ma anche quando siano conseguenza della lesione di

interessi meritevoli di tutela in base all’ordinamento positivo (ivi comprese le

convenzioni internazionali) ossia sussista il requisito dell’ingiustizia generica secondo

l’art. 2043 cod.civ.;

in assenza di reato (ed al di fuori dei casi determinati dalla legge) essi sono risarcibili

purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente

riconosciuto.

Al danno biologico viene riconosciuta una portata tendenzialmente omnicomprensiva

specialmente alla luce della definizione normativa adottata dal d.lgs. 209/2005 (“per

danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell'integrità psicofisica

della persona, suscettibile di valutazione medico-legale, si esplica un'incidenza negativa

sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico- relazionali della vita del danneggiato,

indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”);

ciò comporta che non sono suscettibili di autonomo risarcimento, ma rientrano nell’area

del danno biologico, la sofferenza psichica (ovvero il turbamento dell’animo o dolore

intimo) ed i pregiudizi esistenziali che derivino da lesioni all’integrità psico-fisica o

determinino degenerazioni patologiche di tipo psico-fisico;

in tali casi il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, dovrà procedere ad adeguata

personalizzazione della liquidazione del danno biologico e non già al riconoscimento ed

al risarcimento di ulteriori e distinti danni, magari in percentuale del danno biologico.

- - -

E’ indubbio che nel caso di specie il fatto illecito, di cui la società datrice del ricorrente si

è resa responsabile, integra un reato ossia, più precisamente, il delitto di lesioni personali

colpose aggravate ex art. 590 co.1, 2 e 3 cod.pen.;

quindi il danno non patrimoniale è qui risarcibile non solo quando consegua alla lesione

di diritti costituzionalmente inviolabili, ma a tal fine è sufficiente che gli interessi violati

inerenti alla persona siano meritevoli di tutela in base all’ordinamento positivo secondo il

criterio dell’ingiustizia ex art. 2043 cod.civ.;

ciò rileva (quanto meno in via teorica – su cui infra) non tanto in ordine ai pregiudizi

all’integrità psico-fisica (i quali conseguono sempre alla lesione di un diritto inviolabile

della persona qual è il diritto alla salute ex art. 32 Cost.), ma per il turbamento di animo

ed i pregiudizi di ordine esistenziale.

Può aggiungersi che i pregiudizi all’integrità fisica ed alla personalità morale del

lavoratore sono nel caso di specie suscettibili di risarcimento anche nell’ambito della

responsabilità contrattuale del datore di lavoro, concernendo interessi inseriti nell’area

del rapporto di lavoro dall’art. 2087 cod.civ. ed elevati a diritti inviolabili della persona

quale il diritto alla salute (art. 32 Cost.) ed il diritto alla dignità personale (art. 2, 4 e 32

Cost.).

In realtà nel caso di specie i pregiudizi di ordine esistenziale vengono prospettati dal

ricorrente quali conseguenze delle lesioni all’integrità psico-fisica subite in occasione

dell’infortunio sul lavoro, di cui è rimasto vittima in data 18.5.2018;

quindi tali pregiudizi non sono suscettibili di autonomo risarcimento e neppure possono

essere liquidati in base ad una percentuale del danno biologico, ma la loro sussistenza

esige che il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, proceda ad adeguata

personalizzazione della liquidazione del danno biologico al fine di procedere all’integrale

riparazione delle ripercussioni negative sul valore-uomo subite dal ricorrente infortunato.

B) Danno complementare e danno differenziale

Circa la risarcibilità del danno complementare (nel quale rientrano pacificamente i danni

non patrimoniali diversi dal danno biologico da menomazione permanente) nulla

quaestio alla luce del consenso unanime – a partire dalle fondamentali Corte Cost.

18.7.1991, n. 356, Corte Cost. 27.12.1991, n.485 e Corte Cost. 17.2.1994, n.37 e ora

nella giurisprudenza consolidata della Suprema Corte (ex multis, di recente Cass.

9112/2019 cit.; Cass. 2.3.2018, n. 4972; Cass. 10.4.2017, n. 9166; Cass. 12.12.2016, n.

25327; Cass. 19.1.2015, n.777;) – relativamente all’esclusione dall’esonero ex art. 10

co.1 d.P.R. 30.6.1965, n. 1124 della responsabilità civile del datore di lavoro verso il

lavoratore per i danni estranei alla sfera di operatività dell’assicurazione obbligatoria

contro gli infortuni e le malattie professionali (Corte Cost. 356/1991 ha espressamente

statuito: “…L’esonero ... opera all’interno e nell’ambito dell’oggetto dell’assicurazione,

così come delimitata dai suoi presupposti soggettivi ed oggettivi. Laddove la copertura

assicurativa non interviene per mancanza di quei presupposti soggettivi ed oggettivi non

opera l’esonero: e pur trovando il danno origine dalla prestazione di lavoro, la

responsabilità è disciplinata dal codice civile senza i limiti posti dall’art.10 del T.U. del

1965. Come è stato affermato in sintesi in dottrina, se non si fa luogo alla prestazione

previdenziale, non vi è assicurazione: mancando l’assicurazione cade l’esonero”).

- - -

Ben più tormentato si è rivelato il percorso che ha condotto all’affermazione della

risarcibilità del cd. danno differenziale, ossia di quella parte di danno biologico

eccedente l’ammontare dell’indennizzo erogato dall’I.N.A.I.L. in relazione tale danno.

I)

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis Cass. 23.2.2006, n.

4020; Cass. 29.9.2005, n. 19150;), in epoca antecedente l’entrata in vigore della

disciplina ex art. 13 d.lgs. 38/2000 (la quale trova applicazione relativamente agli

infortuni sul lavoro verificatisi a far data dal 9.8.2000) la copertura prevista

dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali

gestita dall’I.N.A.I.L. – pur non avendo per oggetto il danno patrimoniale in senso

stretto, posto che le prestazioni erogate dall’I.N.A.I.L. spettavano a prescindere dalla

sussistenza o meno di un’effettiva perdita o riduzione dei guadagni del lavoratore

assicurato – non aveva per oggetto il danno biologico (melius il danno non patrimoniale

in generale) poiché le suddette prestazioni erano collegate e commisurate esclusivamente

ai riflessi che la menomazione psicofisica aveva sull’attitudine al lavoro dell’assicurato,

mentre nessun rilievo assumevano gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la

menomazione comportava con riferimento agli altri ambiti ed agli altri modi in cui il

lavoratore assicurato svolge la sua personalità nella vita di relazione (tra cui la stessa

capacità lavorativa generica).

II)

Esercitando la delega attribuitagli dall’art. 55 co.1 lett. s) L. 17.5.1999, n. 144 (“…

emanare… uno o più decreti legislativi… nel rispetto dei seguenti principi e criteri

direttivi: … previsione nell’oggetto dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie

professionali e nell’ambito del relativo sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di

un’idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente

adeguamento della tariffa dei premi”), il Governo, con l’art. 13 co.1 e 2 d.lgs. 23.2.2000,

n. 38, ha così legiferato:

“1. In attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la

determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via

sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul

lavoro e le malattie professionali, il danno biologico come la lesione all’integrità

psicofisica, suscettibile di valutazione medico- legale, della persona. Le prestazioni per

il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di

produzione del reddito del danneggiato.

2. In caso di danno biologico, i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie

professionali… l’INAIL nell’ambito del sistema di indennizzo e sostegno sociale, in

luogo della prestazione di cui all’articolo 66, primo comma, numero 2), del testo unico,

eroga l’indennizzo previsto e regolato dalle seguenti disposizioni:

a) le menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psicofisica di cui al comma 1

sono valutate in base a specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli

aspetti dinamico-relazionali. L’indennizzo delle menomazioni di grado pari o

superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento è erogato in capitale, dal 16 per

cento è erogato in rendita, nella misura indicata nell’apposita “tabella indennizzo

danno biologico” …;

b) le menomazioni di grado pari o superiore al 16 per cento danno diritto

all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita per l’indennizzo delle conseguenze

delle stesse, commisurata al grado della menomazione, alla retribuzione

dell’assicurato e al coefficiente di cui all’apposita “tabella dei coefficienti”, che

costituiscono indici di determinazione della percentuale di retribuzione da prendere

in riferimento per l’indennizzo delle conseguenti patrimoniali, in relazione alla

categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato e alla ricollocabilità

dello stesso. La retribuzione, determinata con le modalità e i criteri previsti dal testo

unico, viene moltiplicata per il coefficiente di cui alla “tabella dei coefficienti”. La

corrispondente quota di rendita, rapportata al grado di menomazione, è liquidata

con le modalità e i criteri di cui all’articolo 74 del testo unico”.

Vi è assoluta concordia (quanto alla giurisprudenza della Suprema Corte, ex multis già

all’indomani della riforma: Cass. 18.7.2006, n. 16376; Cass. 5.5.2005, n. 9353; Cass.

14.2.2004, n. 2889; Cass. 20.1.2002, n. 1114;) nel ritenere che in virtù di tali

disposizione il danno biologico è stato condotto nella sfera di operatività

dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali,

consentendo così:

a) al lavoratore assicurato, vittima di infortunio sul lavoro o colpito da malattia di

origine professionale, di ottenere dall’I.N.A.I.L. l’indennizzo del danno biologico

permanente previsto dalle nuove norme ex art. 13 d.lgs. 38/2000;

b) al datore di lavoro assicurante di fruire dell’esonero ex art. 10 d.P.R. 30.6.1965,

n.1124 (se parziale o totale vedi infra) dalla responsabilità civile per gli infortuni sul

lavoro e le malattie professionali non più in relazione al solo danno patrimoniale, ma

anche al danno biologico permanente;

c) all’ I.N.A.I.L. di agire in via di regresso ex art. 11 d.P.R. 1124/1965 nei confronti del

datore di lavoro penalmente responsabile ed in surrogazione ex art. 1916 cod.civ. nei

confronti del terzo responsabile per le somme pagate a titolo di indennità a ristoro del

danno patrimoniale e del danno biologico subiti dal lavoratore assicurato.

Tuttavia la mancanza di una disciplina organica e coerente tra il sistema della

responsabilità civile e quello dell’assicurazione obbligatoria gestita dall’I.N.A.I.L.

(assolutamente opportuna se si considera che entrambi sono volti a neutralizzare danni in

parte identici – patrimoniale e biologico permanente – che sono derivati al medesimo

individuo – il lavoratore assicurato – dal medesimo fatto – infortunio sul lavoro o

malattia professionale) ha fatto nascere nuovi interrogativi di tenore diametralmente

opposto a quelli affrontati da dottrina e giurisprudenza nella vigenza della precedente

disciplina:

prima dell’entrata in vigore della riforma ex l’art. 13 co.1 e 2 d.lgs. 38/2000

una parte della giurisprudenza di merito, al fine di evitare una duplicazione del ristoro del

danno alla capacità lavorativa generica (da un lato, alla luce della consolidata

giurisprudenza della Suprema Corte – Cass. 28.4.1999, n.4231; Cass. 10.7.1998, n.6736;

Cass. 19.2.1998, n.1764; Cass. 25.6.1997, n.5675; Cass.19.4.1996, n.3727;

Cass.18.4.1996, n.3686, Cass.16.2.1996, n.1198; Cass.14.3.1995, n.2932;

Cass.19.3.1993, n.3260; – che la faceva rientrare nell’ambito del danno biologico, e,

dall’altro, considerando la pacifica opinione – Corte Cost. n.87/1991; Corte

Cost.n.356/91; Cass.4.10.1994, n.8054; Cass.30.12.1993, n.13013; Cass.6.2.1992,

n.1309; – per cui le indennità previste dal t.u. I.N.A.I.L. erano ricollegate e commisurate

ai riflessi che la menomazione psico-fisica aveva sulla capacità di lavoro generica, intesa

come capacità di svolgere qualsiasi lavoro manuale medio), aveva sostenuto che il

lavoratore assicurato potesse agire nei confronti del datore di lavoro danneggiante ai fini

del risarcimento del danno biologico limitatamente alla quota di danno biologico non

collegata alla riduzione o perdita della capacità di lavoro generico (cd. danno biologico

puro);

tale orientamento è stato nettamente sconfessato dalla Suprema Corte (ex multis, da

ultimo, Cass. 4020/2006 cit.; Cass. 19150/2005 cit.;), secondo cui il lavoratore

infortunato, oltre ad ottenere dall’ I.N.A.I.L. le prestazioni ex d.P.R. 1124/1965, era

legittimato a chiedere al datore di lavoro il risarcimento dell'intero danno biologico (e,

conseguentemente, l'esonero ex art.10.co.1 d.p.r.1124/1965 del datore di lavoro dalla

responsabilità civile per gli infortuni e le malattie professionali occorsi ai propri

dipendenti, l'azione di regresso ex art.11 d.p.r.1124/1965 dell'I.N.A.I.L. nei confronti del

datore di lavoro e l’azione di surroga ex art. 1916 cod.civ. dell’I.N.A.I.L. nei confronti

del terzo responsabile non riguardavano in alcun modo e per alcuna quota il danno

biologico);

dopo l’entrata in vigore della riforma ex l’art. 13 co.1 e 2 d.lgs. 38/2000

stante la diversità dei criteri legali (art. 13 co. 2 lett. a) d.lgs. 38/2000 e d.m. 12.7.2000)

di liquidazione dell’indennizzo del danno biologico permanente erogato dall’I.N.A.I.L. e

dei criteri non più solo giurisprudenziali (cfr. le tabelle di liquidazione elaborate dai vari

tribunali), ma anche legali (art. 5 L. 5.3.2001, n. 57, le cui disposizioni sono ora state

sostituite da quelle di cui agli artt. 138 e 139 d.lgs. 7.9.2005, n. 209), la quale conduce a

una quantificazione del danno biologico permanente indennizzabile dell’I.N.A.I.L. di

entità solitamente inferiore a quella del danno biologico permanente risarcibile dal

responsabile civile – si è posta la questione se l’indennizzo I.N.A.I.L. sia integralmente

satisfattivo delle pretese di ristoro spettanti all’infortunato (e quindi esoneri del tutto il

datore di lavoro dalla responsabilità civile) o se, invece, residui un’ ulteriore voce di

danno – definibile “danno differenziale” in quanto corrispondente alla differenza tra

l’ammontare del danno biologico permanente risarcibile nel regime della responsabilità

civile e l’ammontare dell’indennizzo erogabile dall’I.N.A.I.L. nel regime

dell’assicurazione obbligatoria – di cui il lavoratore può chiedere il risarcimento al datore

di lavoro (il cui esonero, quindi, non si estende anche al danno differenziale).

La Suprema Corte (Cass. 9112/2019 cit.; Cass. 9166/2017 cit.; Cass. 5.10.2017, n.

23263; Cass. 9.8.2017, n. 19973; Cass. 19.1.2015, n. 777; Cass. 26.10.2012, n. 18469;),

condividendo l’orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza di merito, ha

optato per la seconda soluzione, riconoscendo il diritto del lavoratore infortunato od

ammalato a causa della condotta colposa del datore di lavoro di esigere da costui il

risarcimento del cd. danno biologico differenziale, ossia della quota eccedente

l’ammontare dell’indennizzo erogato dall’I.N.A.I.L. in relazione a tale tipo di danno.

Si è in particolare evidenziata la differenza strutturale e funzionale tra la prestazione

I.N.A.I.L. ex art. 13 d.lgs. n. 38/2000 e il risarcimento del danno secondo i criteri

civilistici, la quale preclude di poter ritenere che le somme eventualmente a tale titolo

versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto

al risarcimento del danno in capo al soggetto infortunato od ammalato.

La diversità ontologica tra l'istituto assicurativo e le regole della responsabilità civile

trova un riscontro sul piano costituzionale, posto che i due rimedi rinvengono ciascuno

un referente normativo diverso: la prestazione indennitaria risponde agli obiettivi di

solidarietà sociale cui ha riguardo l'art. 38 Cost., mentre il rimedio risarcitorio, a presidio

dei valori della persona, si innesta sull'art. 32 Cost. L'assicurazione I.N.A.I.L. non copre

tutto il danno biologico conseguente all'infortunio o alla malattia professionale ed

ammettere il carattere assorbente della prestazione indennitaria (per effetto della

rimodulazione dell'art. 13 d.lgs. 38/2000) implicherebbe una riduzione secca del livello

protettivo, sia rispetto alle potenzialità risarcitorie del danno biologico sia a confronto

con il ristoro accordato a qualsivoglia vittima di un evento lesivo.

Assai di recente (Cass. 9112/2019 cit.;) si è perspicuamente statuito (considerando anche

la già illustrata risarcibilità del cd. danno complementare e la risarcibilità del danno

patrimoniale differenziale, su cui infra) che, in tema di danno cd. differenziale, la

diversità strutturale e funzionale tra l'erogazione I.N.A.I.L. ex art. 13 d.lgs. 38/2000 e il

risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme

versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del

pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato;

di conseguenza il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve

procedere alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'I.N.A.I.L.

secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora

unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la

nozione pur unitaria di danno non patrimoniale;

pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale,

comparando quest'ultimo alla quota I.N.A.I.L. rapportata alla retribuzione e alla capacità

lavorativa specifica dell'assicurato;

successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall'importo liquidato a

titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa

(danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall'importo così ricavato

il valore capitale della sola quota della rendita I.N.A.I.L. destinata a ristorare il danno

biologico permanente.

In definitiva il ricorrente ha diritto di a ottenere dalla parte convenuta il risarcimento del

danno biologico da menomazione permanente eccedente l’ammontare dell’indennizzo

erogato a tale titolo dall’I.N.A.I.L. (integrante il cd. danno differenziale).

2) in ordine alla domanda di risarcimento dei danni patrimoniali

A) la liquidazione del danno patrimoniale

Occorre in primo luogo ricordare che secondo il consolidato orientamento della Suprema

Corte (Cass. 20.8.2018, n. 20788; Cass. 3.7.2014, n. 15238; Cass. 12.2.2013, n. 3290;

Cass. 24.2.2011, n. 4493; Cass. 27.4.2010, n. 10074; Cass. 25.1.2008, n. 1690; Cass.

18.9.2007, n. 19357; Cass. 9.8.2007, n. 17464; Cass. 6.8.2007, n. 17179;) una

menomazione permanente all’integrità psico-fisica, sia essa totale o parziale, mentre di

per sé concorre a dar luogo al danno biologico (il quale va provato e risarcito

indipendentemente dal fatto che da esso sia derivata anche una perdita patrimoniale), non

comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il

giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione psico-fisica abbia inciso sulla

capacità di svolgimento dell'attività lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla

capacità di guadagno (e, quindi, di produrre ricchezza), deve anche accertare se e in

quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una

capacità ad attendere ad altri lavori, confacenti alle sue attitudini e condizioni personali e

ambientali, e altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle

perse o ridotte;

solo se dall'esame di questi elementi risulterà provata una riduzione della capacità di

guadagno, questa riduzione (e non la causa di questa, cioè la diminuzione della capacità

di lavoro specifica) sarà risarcibile sotto il profilo del lucro cessante;

la relativa prova incombe al danneggiato, il quale ha l’onere di dimostrare che, per

effetto delle lesioni riportate e della conseguente incapacità lavorativa specifica, ha

subito e/o subirà una diminuzione del proprio reddito.

Trattandosi di danno che si proietta nel futuro e, quindi da valutare su base prognostica, il

danneggiato potrà avvalersi anche delle presunzioni semplici, per cui, provata la

riduzione della capacità di lavoro specifico, se essa è di una certa entità e non rientra tra i

postumi permanenti di piccola entità (cd. micropermanenti, le quali non sono producenti

danno patrimoniale, ma costituenti solo componenti del danno biologico), può

presumersi che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura

(non necessariamente in modo proporzionale), qualora già svolga un'attività o

presumibilmente la svolgerà;

si tratta, però, pur sempre, di una prova presuntiva e non di un automatismo, con la

conseguenza che potrà essere superata dalla prova che, nonostante la riduzione della

capacità di lavoro specifico, non vi è stata alcuna riduzione della capacità di guadagno e,

quindi, che non vi è stato alcun danno patrimoniale in concreto;

si è, altresì, statuito (Cass. 19.3.2009, n. 6658;) che la sussistenza di un danno

patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro e di guadagno, in conseguenza di

lesioni personali, non può essere esclusa per il solo fatto che i redditi del danneggiato

dopo il sinistro non si siano ridotti, in quanto il giudice deve altresì accertare se le residue

energie lavorative della vittima, pur consentendole di conservare al momento il reddito

pregresso, comportino però una maggiore usura, e di conseguenza rendano verosimile

un'anticipata cessazione dell'attività lavorativa, ovvero precludano alla vittima la

possibilità di svolgere attività più remunerative

In definitiva, tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non

sussiste alcun rigido automatismo di talché, in presenza di una lesione della salute, anche

di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in eguale misura la capacità di produrre

reddito, ma il soggetto ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante

presunzioni, che le menomazioni permanenti abbiano inciso sulla capacità di guadagno.

Inoltre si è evidenziato (ex multis Cass. 22.5.2018, n. 12572; Cass. 9.10.2015, n. 20312;

Cass. 25.8.2014. n. 18161; Cass. 25.5.2007, n. 12247; Cass. 2.2.2007, n. 2311;) che in

caso di illecito lesivo dell'integrità psico - fisica della persona, la riduzione della capacità

lavorativa generica – quale potenziale attitudine all'attività lavorativa intesa come qualità

della vita essenziale attinente alla cd. produttività dell'uomo e costituita dalla capacità di

agire operosamente, a prescindere dai risultati o dai campi di azione – rientra nella sfera

del danno biologico, nel quale si ricomprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo

che incidono sul bene della salute in sé considerato, con la conseguenza che il

pregiudizio alla capacità lavorativa generica non può formare oggetto di autonomo

risarcimento come danno patrimoniale, che andrà, invece, autonomamente liquidato,

qualora alla detta riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione

della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo a una riduzione della

capacità di guadagno.

Si è ulteriormente precisato (Cass. 12572/2018 cit.; Cass. 20312/2015 cit.; Cass.

24.3.2004, n. 5840;) che – stante la risarcibilità del danno patrimoniale soltanto quando

sia riscontrabile l’eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre

reddito – il danno consistente nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello

svolgimento dell'attività lavorativa, ma non incidente neanche sotto il profilo delle

opportunità sul reddito della persona offesa ossia della perdita di chance (cd. danno da

lesione della “cenestesi lavorativa”), risolvendosi in una compromissione biologica

dell'essenza dell'individuo, va liquidato nell’ambito del danno biologico; a tal fine il

giudice, ove abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore

differenziato del punto di invalidità, ben può liquidare la componente costituita dal

pregiudizio della “cenestesi lavorativa” mediante un appesantimento del valore

monetario di ciascun punto, restando invece non consentito il ricorso al parametro del

reddito percepito dal soggetto leso.

B) danno differenziale

In ordine al danno patrimoniale risulta pacifico, alla luce del disposto ex art. 10. co.7

d.P.R. 1124/1965, che al lavoratore infortunato spetta il cd. danno differenziale ossia di

quella parte di danno patrimoniale eccedente l’ammontare dell’indennizzo erogato

dall’I.N.A.I.L. in relazione tale danno.

* * *

Con ordinanza ex art. 279 co.2 cod.proc.civ. vengono impartiti i provvedimenti per

l’ulteriore istruzione della causa, in particolare la nomina del c.t.u..

4) in ordine alle spese

La pronuncia sulle spese è differita alla sentenza definitiva.

P.Q.M.

Il tribunale ordinario di Trento - sezione per le controversie di lavoro, in persona del

giudice istruttore, in funzione di giudice unico, dott. Giorgio Flaim, NONmdefinitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione rigettata, così decide:

1. Accerta che l’infortunio, occorso al ricorrente XXX in data

18.5.2018, durante lo svolgimento delle sue prestazioni alle dipendenze della società

convenuta ZZZ è eziologicamente collegato in via esclusiva alle condotte colpose tenute dalla medesima società, quale datore di lavoro del ricorrente.

2. Riserva alla definizione del giudizio la pronuncia sulla liquidazione delle spese.

3. Dispone con separata ordinanza per il proseguimento della trattazione.

Trento, 14 giugno 2022

IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO IL GIUDICE

dott. Andrea Tabarelli dott. Giorgio Flaim

Sentenza n. 78/2022 pubbl. il 14/06/2022 RG n. 350/2020

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