Il periodo di comporto non corre per la lavoratrice disabile affetta da Lupus Eritematoso Sistemico - LES con esiti anche in neurite ottica
RG 121/2018
TRIBUNALE CIVILE DI SPOLETO
Sezione lavoro
Il Giudice del lavoro Dott.ssa Marta D’Auria,
nella causa di lavoro di primo grado iscritta al numero R.G. 121/2018
TRA
xxx rappresentata e difesa come in atti dall’Avv. Federico Muzi
RICORRENTE
CONTRO
La YYY , in persona del Presidente e legale rappresentante
pro tempore, rappresentata e difesa come in atti dall’Avv. Gloria Loreti
RESISTENTE
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 21 febbraio 2019,
letti tutti gli atti e i documenti di causa,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
La ricorrente ha adito il Tribunale di Spoleto, in funzione di Giudice del lavoro, proponendo
ricorso ex art. 1, comma 47 e seguenti, legge n. 92/2012, rappresentando:
- di essere stata assunta dalla convenuta il 20.9.2012 e inquadrata al livello A2 C.C.N.L.,
svolgendo mansioni di ausiliaria negli asili nido, assistenza a bambini portatori di handicap, piccole
supplenze come maestra asili nido, accompagnatrice di bambini con il pulmino;
- di essere affetta da una gravissima malattia neurologica autoimmune, degenerativa ed
incurabile (Lupus Eritematoso Sistemico - LES) con esiti anche in neurite ottica; di essere, quindi,
disabile e portatrice di handicap, come attestato anche dalle certificazioni ex lege n. 68/1999 e di
invalidità I.N.P.S al 100% e dalla certificazione di Portatore di Handicap ai sensi della legge
104/1992;
- di essersi dovuta assentare per malattia dal lavoro;
- di essere stata licenziata, a causa di tali assenze per malattia, per superamento del periodo
di comporto con missiva del 15.9.2017;
- che, con missiva spedita il 3.10.2017 e ricevuta dalla ditta il 9.10.2017, la ricorrente ha
chiesto il dettaglio dei giorni di malattia che la ditta ha posto alla base del licenziamento per
superamento del periodo di comporto, ma la richiesta è rimasta senza riscontro;
- che il licenziamento è stato impugnato con missiva del 27.10.2017, spedita in questa data e
ricevuta dalla ditta il 31.10.2017;
- che la convenuta ha più di 15 addetti.
La ricorrente ha sostenuto: la violazione dell’art. 15 legge n. 300/1970, richiamato dall’art. 3
legge n. 108/1990, e dell’art. 3 d.lgs n. 216/2003 - discriminazione indiretta per handicap -
licenziamento discriminatorio; discriminazione indiretta per handicap - mancato avvertimento alla
lavoratrice disabile/portatrice di handicap - violazione di norme - discriminazione indiretta. In
subordine, la violazione dell’art. 2 legge n. 604/1966 post legge n. 92/2012 - vizio di assenza di
motivazione specifica e contestuale.
La ricorrente ha, quindi, concluso chiedendo:
-in via principale, ex comma 1 dell’art. 18 legge n. 300/1970, per la discriminatorietà del
licenziamento, dichiarare nullo il licenziamento e condannare la società convenuta a reintegrare la
ricorrente nel posto di lavoro con pari inquadramento e mansioni, nonché a risarcire alla ricorrente
il danno subito per il licenziamento illegittimo, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata
all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello
dell’effettiva reintegrazione ed al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
-in subordine, ex comma 7 dell’art. 18 legge n. 300/1970, per la violazione dell’art. 2110 c.c.
e/o della legge n. 68/1999, dichiarare che la lavoratrice ha diritto alla tutela reintegratoria debole,
ovvero alla reintegra e al pagamento di un’indennità fino a 12 mensilità; condannare la convenuta
alla reintegra in azienda della ricorrente con pari inquadramento ed al pagamento alla stessa
dell’indennità sopra quantificata;
-in subordine, dichiarare che la lavoratrice ha diritto: alla tutela reintegratoria dimidiata,
ovvero alla reintegra e al pagamento di un’indennità fino a 12 mensilità; in subordine, alla tutela
risarcitoria forte, ovvero al pagamento di un’indennità da 12 a 24 mensilità; ai sensi e per gli effetti
tutti di cui all’art. 18 legge n. 300/1970; condannare la convenuta nella prima ipotesi alla reintegra
in azienda della ricorrente con pari inquadramento ed al pagamento alla stessa dell’indennità ivi
prevista; nelle altre ipotesi al pagamento alla ricorrente dell’indennità prevista;
-in subordine, ex comma 6 dell’art. 18 legge n. 300/1970, per la violazione dell’art. 2 legge
n. 604/1966, per la mancanza della motivazione specifica e contestuale, condannare la convenuta a
pagare alla ricorrente un’indennità risarcitoria quantificata tra 6 e 12 mensilità di retribuzione;
-in subordine, condannare la società convenuta a tutte le conseguenze e/o al pagamento di
quelle somme previste dalle norme di legge e/o di C.C.N.L. per
l’illegittimità/invalidità/annullabilità/nullità/inefficacia del licenziamento e/o per ogni altra
patologia che il Giudice riterrà di ravvisare nel licenziamento per cui è causa, che riterrà più giuste
ed eque, sulla base della regola iura novit curia/da mihi factum dabo tibi ius e/o anche in via di
equità e/o anche ex art. 432 c.p.c..
In ogni caso, con ogni provvedimento conseguente e presupposto; il tutto oltre interessi e
rivalutazione; con vittoria di spese e competenze di lite.
Si è costituita la convenuta che ha contestato tutto quanto ex adverso dedotto ed articolato.
Ha rappresentato che:
- la ricorrente non è stata assunta ex lege n. 68/1999, in quanto si trattava di soggetto non
rientrante nelle c.d. “categorie protette”; al momento della assunzione, la lavoratrice non presentava
e/o non adduceva documentazione attestante particolari patologie;
- a partire dal mese di ottobre 2014, la ricorrente iniziava ad assentarsi dal posto di lavoro
per lunghi periodi, tanto è che il primo certificato di malattia risale proprio al 17.10.2014; visto il
prolungarsi delle assenze, approssimandosi il termine del rientro, la YYY,
al fine di salvaguardare lo stato di salute della dipendente, ex art. 2087 c.c., in data 22.09.2016
faceva sottoporre quest’ultima a visita medica per il ritorno al lavoro dopo la malattia;
- il medico incaricato attestava un giudizio di non idoneità temporanea, il certificato
riportava: “invalida INPS 100% non rivedibile. Si consiglia visita medica collegiale per valutare la
idoneità al lavoro generico art. 5 legge 300/70”. La Cooperativa, quindi, invitava la Commissione
della Asl2 competente ad esprimersi sulla capacità lavorativa della XXX. Il successivo verbale
BL/G N del 19.12.1016, emesso dalla Commissione medica della ASLUmbria2 –Dipartimento di
Prevenzione Servizio Medicina Legale in sede collegiale, Prot. n. 279147/2016 del 20.12.2016,
attestava il seguente giudizio medico legale: “permanentemente inidonea al lavoro”, con i giudizi
espressi alla unanimità;
- successivamente alla data del verbale, le assenze per malattia della XXX si protraevano;
la lavoratrice, alla data del 15.9.2017, aveva maturato 420 giorni di assenza nell’ultimo triennio, per
cui, essendo il limite massimo previsto dall’art. 71 C.C.N.L. di 12 mesi, ovvero 365 giorni, risultava
superato di 55 giorni; la YYY, pertanto, comunicava alla ricorrente il recesso
datoriale del 15.9.2017.
Parte resistente ha concluso, quindi, chiedendo di rigettare il ricorso proposto, in quanto
infondato in fatto ed in diritto e, comunque, non provato; per l’effetto, dichiarare valido ed efficace
il licenziamento intimato alla ricorrente in quanto sussistenti e provati i fatti e le ragioni che lo
hanno determinato. In ogni caso, con vittoria di spese e competenze del giudizio.
Venivano acquisiti i documenti prodotti da entrambe le parti.
1. Nel merito
Ritiene il giudice di dover, preliminarmente, fare due precisazioni iniziali su altrettante due
circostanze, entrambe non contestate ma con esiti diversi, significativamente diversi, quanto alla
loro rilevanza nel presente giudizio.
1. Incontestata è la condizione di salute della ricorrente, la quale è affetta da una gravissima
malattia neurologica autoimmune, degenerativa ed incurabile (Lupus Eritematoso Sistemico - LES)
con esiti anche in neurite ottica.
Sul punto, occorre ricordare come la Corte di giustizia dell’U.E. abbia avuto modo di
puntualizzare che va esclusa “un’assimilazione pura e semplice” tra la nozione di handicap e quella
di malattia (tant’è che nella direttiva 2000/78/CE si usa il termine “handicap” e non “malattia”) e
che “perché una limitazione possa rientrare nella nozione di “handicap” deve quindi essere
probabile che essa sia di lunga durata”, potendo incidere od ostacolare per un lungo periodo la vita
professionale della lavoratrice o del lavoratore. Sicché, se è vero che non ogni malattia può portare
a configurare una discriminazione fondata sull’handicap, una malattia che sia di lunga durata e che
incida sulla vita professionale configura un handicap (così anche Trib. Milano, ord. del 24.9.2018).
Esattamente il caso di specie. La malattia da cui è affetta la ricorrente è, infatti, una malattia
di lunga durata che, per le sue caratteristiche e manifestazioni e i suoi effetti incide negativamente
sulla vita professionale della ricorrente la quale è, quindi, portatrice di handicap.
2. Incontestato è che la ricorrente non sia stata assunta dall’odierna resistente ex lege n.
68/1999, pur rientrandovi.
A nulla, invece, rileva (a differenza di quanto specificato da parte resistente, cfr. anche
verbale d’udienza del 21.2.2019) come la condizione della ricorrente non sia dipesa né da infortunio
né da malattia professionale.
3. Puntualizzato quanto sopra, un’ulteriore precisazione si impone, afferente il numero
esatto dei giorni in cui la ricorrente è stata assente per la patologia di cui soffre. Ebbene, parte
resistente, ha sostenuto che, alla data del 15.9.2017, la ricorrente aveva maturato 420 giorni di
assenza nell’ultimo triennio e che, poiché l’art. 71 del C.C.N.L. stabilisce il limite massimo in 365
giorni, la ricorrente avrebbe superato di 55 giorni il periodo di comporto (cfr. pag. 9 della memoria
difensiva).
La stessa parte resistente, dopo aver puntualmente indicato i giorni di assenza e i relativi
certificati medici (cfr. pag. 10 e 11 della memoria difensiva), ha però anche evidenziato come non
tutti i suddetti certificati fossero riconducibili allo stato invalidante della ricorrente (“Esaminando
singolarmente i certificati medici della XXX è possibile evincere che non tutti questi sono
riconducibili allo stato invalidante di quest’ultima (ad onor del vero solo circa la metà di questi).”,
così a pag. 11 della memoria difensiva).
Ne deriva che dei complessivi 420 giorni di malattia, erano computabili (ai fini del calcolo
del superamento del periodo di comporto) solo 210 giorni in quanto non riconducibili allo stato
invalidante della ricorrente. Posto, però, che il periodo di comporto è stabilito dal C.C.N.L. di
categoria in 365 giorni, non risulta quindi superato.
4. Né, ed è questo invero l’argomento centrale, possono essere computati, ai fini del calcolo
dei giorni per accertare il superamento del periodo di comporto, i giorni di assenza per malattia
connessi alla condizione di disabilità della lavoratrice.
Sul punto ritiene il Giudice di dover ribadire quanto già affermato da altra giurisprudenza di
merito secondo cui il computo delle assenze per malattia connesse alla specifica (e nel caso di
specie incontestata) condizione di disabilità costituisce discriminazione indiretta di cui alla direttiva
2000/78/CE (direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro
generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro): “sussiste
discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri
possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una
determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap,
le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone,
a meno che: i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una
finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che
ii) nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona
o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad
adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli
svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi” (art. 2, par. 2, direttiva cit.).
Direttiva recepita nell’ordinamento interno con il d.lgs. n. 216/2003.
Nella sent. della Corte di giustizia dell’U.E., Terza Sezione, del 18 gennaio 2018, C-270/16,
Carlos Enrique Ruiz Conejero contro Ferroser Servicios Auxiliares SA, Ministerio Fiscal, resa su
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dal Juzgado de lo Social n. 1 di Cuenca,
(Tribunale del lavoro n. 1 di Cuenca, Spagna), la C.G.U.E. ha stabilito che “L’articolo 2, paragrafo
2, lettera b), i), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un
quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro,
deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in base alla quale un datore
di lavoro può licenziare un lavoratore in ragione di assenze intermittenti dal lavoro, sebbene
giustificate, nella situazione in cui tali assenze sono dovute a malattie imputabili alla disabilità di
cui soffre il lavoratore, tranne se tale normativa, nel perseguire l’obiettivo legittimo di lottare
contro l’assenteismo, non va al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo,
circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare.”.
Giova, altresì, ribadire anche quanto affermato sempre da altra giurisprudenza di merito,
secondo cui concepire e, quindi, calcolare, lo stesso periodo di comporto per un soggetto afflitto da
una grave e permanente patologia e di conseguenza afflitto da handicap rispetto ad altro soggetto
non afflitto da handicap, vìola il principio di parità di trattamento, secondo cui situazioni diverse
richiedono un diverso trattamento, altrimenti configurandosi una discriminazione indiretta di cui
alla direttiva 2000/78/CE (cfr. Trib. Milano, sent. 28.10.2016 n. 2875). La diversità di situazioni in
cui versano da una parte il lavoratore afflitto da handicap e dall’altra il lavoratore non afflitto da
handicap richiede, nei confronti del primo, una tutela adeguata e, quindi, necessariamente e
ragionevolmente differenziata.
Infine, considerato quanto comunicato con la lettera di licenziamento del 15.9.2017 (“...Ella
è stata assente dal lavoro per malattia, sommando le ripetute e frazionate assenze verificatesi, per
un periodo superiore a quello di conservazione del posto.”, cfr. doc. 2 allegato al fascicolo di parte
ricorrente), rilevato come la lavoratrice avesse chiesto il dettaglio dei giorni di malattia posti alla
base del licenziamento per superamento del periodo di comporto (“...il dettaglio analitico dei giorni
di malattia posti alla base del licenziamento e la specifica motivazione dello stesso”, cfr. doc. 16
allegato al fascicolo di parte ricorrente recante la missiva spedita il 3.10.2017 e consegnata alla ditta
datrice di lavoro il 9.10.2017) e come tale richiesta fosse rimasta priva di riscontro, va rilevato
anche quanto segue: se la parte odierna resistente avesse avviato un confronto con la lavoratrice sui
giorni di malattia computati ai fini del calcolo del superamento del periodo di comporto, ben
avrebbe potuto constatare come parte (anzi, “ad onor del vero solo circa la metà”, così la stessa
parte resistente) di quei giorni, poiché giorni di assenza per malattia connessi alla condizione di
disabilità della lavoratrice, non avrebbero dovuto essere computati e, quindi, la datrice di lavoro
avrebbe potuto revocare il provvedimento di licenziamento.
Alla luce di tutto quanto precede, dichiarata la natura discriminatoria del licenziamento
intimato, va dichiarata la nullità del licenziamento, con conseguente applicazione del disposto di cui
all’art. 18, comma 1, legge n. 300/1970 (come modificata dalla legge n. 92/2012) e, pertanto, viene
condannata la parte resistente alla reintegra della ricorrente nel posto di lavoro con pari
inquadramento e mansioni, nonché la corresponsione alla ricorrente di un’indennità risarcitoria
commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a
quello dell’effettiva reintegrazione, in ogni caso non inferiore a cinque mensilità, oltre interessi e
rivalutazione come per legge. Condanna altresì parte resistente al versamento dei contributi
previdenziali e assistenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva
reintegrazione.
Da rilevare, infine, come non vi sia alcun elemento per ridurre tale indennità di un aliunde
perceptum.
2. Sulle spese
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, in conformità ai criteri
di cui al D.M. n. 55/2014 da ultimo aggiornato con D.M. n. 37/2018, tenuto conto che parte
resistente ha rifiutato (cfr. verbale d’udienza del 22.11.2018) la proposta conciliativa formulata dal
Giudice all’udienza del 13.9.2018 e tenuto altresì conto dell’assenza di attività istruttoria.
P.Q.M.
1) Dichiara nullo il licenziamento e, per l’effetto,
2) Condanna parte resistente alla reintegra della ricorrente nel posto di lavoro con pari
inquadramento e mansioni, nonché la corresponsione alla ricorrente di un’indennità risarcitoria
commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a
quello dell’effettiva reintegrazione, in ogni caso non inferiore a cinque mensilità, oltre interessi e
rivalutazione come per legge;
3) Condanna parte resistente al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal
momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione;
4) Condanna parte resistente al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese di lite,
che liquida in complessivi € 1.300,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA
e CPA come per legge.
Manda alla Cancelleria per la comunicazione alle parti costituite.
Così deciso in Spoleto, 3 marzo 2019.
Il Giudice del lavoro
Dott.ssa Marta D’Auria