Il committente può essere responsabile per gli infortuni sul lavoro anche senza ingerenza diretta

Cassazione civile Sezione lavoro Sentenza 12/09/2025 n 25113
Superato l'orientamento giurisprudenziale precedente (es. Cass. 33365/2021), secondo cui la responsabilità del committente derivava solo da una concreta ingerenza organizzativa
Immagine documento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. PAGETTA Antonella - Presidente

Dott. TRICOMI Irene - Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio - Relatore

Dott. CASO Francesco Giuseppe Luigi - Consigliere

Dott. MICHELINI Gualtiero - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 18997-2021 proposto da

A.A., B.B., C.C., D.D., E.E., F.F., tutti rappresentati e difesi dagli avvocati LUDOVICA FRANZIN, ALBERTO RIGHI;

- ricorrenti -

contro

AIG EUROPE S.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato GIOVANNI ROVEDA;

- controricorrente -

nonché contro

3 ERRE AUTOMAZIONI Srl IN LIQUIDAZIONE, EURO FURNITURE PANELS Srl IN FALLIMENTO;

- intimati -

avverso la sentenza n. 11/2021 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 16/03/2021 R.G.N. 343/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2025 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;

udito l'avvocato LUCA MENICUCCI per delega verbale avvocato GIOVANNI ROVEDA.

Svolgimento del processo
1. Il 1 dicembre 2011 G.G., socio della 3 ERRE AUTOMAZIONI Srl, chiese al dipendente A.A. di accompagnarlo presso la sede di EURO FURNITURE PANELS Srl per effettuare la manutenzione di un macchinario "sollevatore"; ivi giunti, nell'effettuare l'intervento manutentivo, il Lorenzi subì un grave infortunio per la caduta di un carrello posto sopra il motore del macchinario in riparazione.

2. Il Tribunale di Vicenza, adito dall'infortunato e dai suoi prossimi congiunti, esclusa la responsabilità della committente EURO FURNITURE PANELS Srl, che aveva chiamato in garanzia la AIG EUROPE Limited s.a., condannò esclusivamente la datrice di lavoro a risarcire in favore del solo ricorrente, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di Euro 677.730,96 oltre ad Euro 60.000,00, a titolo di danno patrimoniale, rigettando tutte le altre domande.

3. La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, ha confermato tale decisione.

La Corte, in estrema sintesi e per quanto qui ancora rilevi in ordine alla responsabilità della società presso la quale era stato effettuato l'intervento manutentivo, nel frattempo fallita, ha escluso nella specie il rischio cd. "interferenziale", con i conseguenti obblighi ex art. 26 T.U. n. 81 del 2008, argomentando che "a) l'attività di riparazione del macchinario era a carico esclusivo della produttrice 3 ERRE AUTOMAZIONI Srl; b) è stato interpellato per la manutenzione proprio il soggetto che aveva realizzato l'impianto; c) non c'era motivo di dubitare delle capacità tecniche della convenuta e nemmeno dell'infortunato, anche perché il Lorenzi, per sua stessa ammissione, già aveva eseguito degli interventi di manutenzione anche su quel macchinario, l'ultimo appena cinque mesi prima ; d) il ciclo produttivo di EURO FURNITURE PANELS Srl era sospeso e la riparazione è stata effettuata senza intervento alcuno di dipendenti o preposti della EURO FURNITURE PANELS Srl"; ha aggiunto come non emergesse la nocività dell'ambiente di lavoro; ha concluso per l'assenza di prova della "interferenza", in quanto "l'intervento di manutenzione è stato svolto in un'area ben delimitata e circoscritta che non aveva punti di contatto con altri macchinari in movimento pure presenti all'interno degli stessi locali".

La Corte ha anche confermato la statuizione di primo grado che aveva rigettato la domanda "sul danno da rimbalzo a favore di familiari conviventi e non" per difetto di prova; ha evidenziato che il danno fatto valere dai prossimi congiunti era limitato alla "sola componente di danno inerente al piano relazionale (...) essendo valorizzato il solo profilo del danno conseguenza e non quello tipico del danno evento morale da reato"; esaminato il compendio istruttorio, ha respinto il gravame sul punto "in mancanza di prova sul mutamento delle abitudini di vita" dei congiunti.

4. Per la cassazione di tale sentenza, hanno proposto ricorso i soccombenti in epigrafe con sette motivi; ha resistito con controricorso la sola società assicuratrice; non hanno svolto attività difensiva le altre società intimate.

All'esito della camera di consiglio del 12.3.2025, il Collegio ha ritenuto che non sussistessero "le condizioni per la trattazione in adunanza camerale in ordine alla sussistenza del rischio interferenziale" ed ha rimesso la trattazione della controversia in pubblica udienza.

La Procura Generale ha comunicato memoria, così come la parte ricorrente ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione
1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati

1.1. il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. per non avere la Corte territoriale esaminato la fattispecie secondo i principi di cui alla citata disposizione codicistica;

1.2. il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008 per avere la Corte veneziana escluso l'operatività di detta norma;

1.3. il terzo motivo denuncia, ancora, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008 nonché "insufficienza della motivazione ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c."; in particolare relativi alla "mancata formazione del lavoratore infortunato e messa a disposizione della scala a pioli da parte di EURO FURNITURE PANELS s.r.l";

1.4. il quarto motivo denuncia "insufficienza della motivazione ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c."; in particolare si sarebbe trascurato che si trattava di una ipotesi di lavoro in quota a tre metri d'altezza;

1.5. il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008, deducendo che l'intervento effettuato configurava una ipotesi di lavoro in quota per il quale la committente era comunque tenuta a redigere il DUVRI;

1.6. il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 329 e 342 c.p.c. per avere la Corte territoriale erroneamente applicato i principi in punto di acquiescenza e specificità dei motivi di appello, ritenendo "non impugnato interamente da parte dei ricorrenti il capo della sentenza in punto di difetto di prova circa l'incidenza degli esiti del sinistro e dell'attuale condizione di A.A. sulla relazione familiare con il prossimo congiunto";

1.7. il settimo motivo denuncia; "violazione/errata/falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 1226, 2697 e 2729 c.c. nonché dell'art. 116 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; insufficienza della motivazione ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio"; si critica diffusamente la sentenza impugnata per avere respinto la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale dei prossimi congiunti di un soggetto paraplegico necessitante assistenza continua.

2. Il Collegio giudica il ricorso meritevole di accoglimento nei sensi espressi dalla motivazione che segue.

2.1. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, risultano fondati alla stregua dei principi espressi recentemente da questa Corte, che vanno qui ribaditi (Cass. n. 11918 del 2025, cui si rinvia anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c.).

2.1.1. Il richiamato precedente ha esaminato l'evoluzione della giurisprudenza, in relazione allo sviluppo del quadro normativo, concernente il regime di responsabilità del committente per gli infortuni sofferti da dipendenti di ditte appaltatrici o subappaltatrici, a partire dalle origini quando, in mancanza di previsioni legislative specifiche, il tendenziale esonero del committente da responsabilità per infortuni subìti da lavoratori di cui non era datore di lavoro è stato mitigato dall'utilizzo, anche in chiave costituzionalmente orientata (così Cass. n. 2393 del 2023; conf. Cass. n. 5618 del 2025), dell'art. 2087 c.c., ritenuto estensivamente applicabile al committente debitore di sicurezza anche nei confronti di dipendenti altrui; tuttavia, con l'esplicita condizione che il committente stesso si fosse reso "garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire" (cfr. Cass. n. 4129 del 2002; Cass. n. 22818 del 2009; Cass. n. 17092 del 2012; Cass. n. 11311 del 2017; Cass. n. 33365 del 2021; in tema di azione di regresso dell'INAIL v. Cass. n. 375 del 2023); condizione sovente accompagnata dall'affermazione della responsabilità del committente solo nel caso di "ingerenza" nell'esecuzione dell'appalto, tale da ridurre l'appaltatore a mero esecutore ovvero agendo in modo da comprimerne l'autonomia organizzativa, nonché nell'ipotesi della colpa nella scelta dell'appaltatore (cfr. Cass. n. 2745 del 1999; Cass. n. 9065 del 2006; Cass. n. 21540 del 2007; Cass. n. 10588 del 2008; Cass. n. 11757 del 2011).

2.1.2. Analoga rilevanza è stata data dalla giurisprudenza penale che, in un primo tempo, ha giustificato la responsabilità del committente solo quando il medesimo travalicasse il ruolo di semplice affidatario delle opere, ingerendosi nell'organizzazione per la loro esecuzione (Cass. pen. n. 5393 del 1973; Cass. pen. n. 2488 del 1975; Cass. pen. n. 4862 del 1982; Cass. pen. n. 11513 del 1985; Cass. pen. n. 1659 del 1989; Cass. pen. n. 2731 del 1990; Cass. pen. n. 2502 del 1993); anche successivamente (per l'evoluzione della giurisprudenza penale in materia v., per tutte, Cass. pen. n. 5802 del 2021), pur riconoscendosi uno statuto di protezione e controllo gravante sul committente in associazione alla violazione di obblighi specifici, quali l'informazione sui rischi dell'ambiente di lavoro e la cooperazione nell'apprestamento delle misure di protezione e prevenzione (tra le tante, Cass. pen. n. 6884 del 2008; Cass. pen. n. 1825 del 2008), si è reiterato il principio secondo cui "il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori; ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo" (Cass. pen. n. 44131 del 2015; in conf. a Cass. pen. n. 3563 del 2012; nello stesso senso Cass. pen. n. 27296 del 2016; Cass. pen. n. 27296 del 2017; Cass. pen. n. 5946 del 2019; Cass. pen. n. 26335 del 2021; Cass. pen. n. 18169 del 2025).

La Cassazione civile, con la sentenza n. 11918/2025 cit., ha tuttavia rimarcato con forza la radicale diversità tra i criteri di imputazione della responsabilità in ambito civile - dominati dalla regola dettata dall'art. 1218 c.c. in base alla quale il debitore-datore di lavoro è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento "è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile" (sul riparto degli oneri di allegazione e prova in materia di infortuni sul lavoro, v. Cass. n. 6984 del 2025) – rispetto a quelli vigenti per il diritto penale.

Solo per la responsabilità penale non opera alcuna presunzione di colpa né agevola la vittima alcuna inversione dell'onere probatorio; infatti grava interamente sulla pubblica accusa, in ossequio al principio garantista imposto dall'art. 27, comma 1, Cost., dimostrare, in concreto e oltre ogni ragionevole dubbio, sia la sussistenza della violazione, da parte del soggetto che riveste una posizione lato sensu di garante, di una regola cautelare (generica o specifica), sia il nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso, sia la prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mira a prevenire, onde verificare anche se l'evento abbia o meno concretizzato proprio il fattore di rischio che le regole cautelari violate erano intese a prevenire e a rendere evitabile (tra le recenti, Cass. pen. n. 12387 del 2025).

2.1.3. Il quadro normativo di riferimento si è arricchito con la direttiva-quadro 89/391/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, che all'art. 6, nel definire gli "Obblighi generali dei datori di lavoro", al par. 4 stabilisce "quando in uno stesso luogo di lavoro sono presenti i lavoratori di più imprese, i datori di lavoro devono cooperare all'attuazione delle disposizioni relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute, e, tenuto conto della natura delle attività, coordinare i metodi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, informarsi reciprocamente circa questi rischi e informarne i propri lavoratori e/o i loro rappresentanti"; laddove vi sia compresenza organizzata di più lavoratori, appartenenti a imprese diverse per finalità di esecuzione di opere o servizi, per il diritto dell'Unione europea devono essere quindi previsti, per i datori di lavoro coinvolti, obblighi di cooperazione, di coordinamento e di informazione in ordine alle misure da adottare per la sicurezza, l'igiene e la salute di tutti i lavoratori interessati.

2.1.4. La disciplina comunitaria in materia è stata attuata nel diritto interno prima con l'art. 7, D.Lgs. n. 626 del 1994, e poi con l'art. 26, D.Lgs. n. 81 del 2008.

Per quanto riguarda le disposizioni vigenti ratione temporis nella controversia che qui occupa, l'art. 26 citato prevede, per "il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo", un coacervo di obblighi.

Dalla verifica dell'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici alla fornitura alle medesime di dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione all'attività svolta (comma 1); dalla cooperazione per l'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto al coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, con informazione reciproca anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva (comma 2); inoltre, ai sensi del terzo comma dell'art. 26 cit., "Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze"; documento da allegare al contratto di appalto e che non deve essere redatto nei casi specificamente previsti dal comma 3-bis; completa il sistema degli "obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione" di cui all'art. 26 del Testo Unico, il quarto comma, secondo cui "l'imprenditore committente risponde in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato" dall'INAIL o dall'IPSEMA, con la clausola di esonero dalla responsabilità solidale delineata dal comma per i "danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici".

2.1.5. Coerentemente con tale sviluppo normativo, le più recenti decisioni di questa Corte Suprema hanno ritenuto che l'art. 7 del D.Lgs. 626 del 1994 prima, e l'art. 26 del D.Lgs. n. 81 del 2008 poi, stabiliscano una serie di obblighi specifici, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture, gravanti sulle imprese committenti, il cui adempimento occorre verificare in caso di infortunio subito da lavoratori delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

In particolare, Cass. n. 12465 del 2020, anche sulla scorta dei precedenti ivi indicati (Cass. n. 21694 del 2011; Cass. n. 21894 del 2016; Cass. n. 12561 del 2017; Cass. n. 798 del 2017; ma v. pure Cass. n. 5149 del 2019), ha ritenuto, expressis verbis, "superata la tradizionale e limitativa concezione che - in virtù della normale autonomia e responsabilità dell'appaltatore, quale elemento naturale del contratto - configurava la responsabilità del committente come eccezionale, ossia solamente nei casi di culpa in eligendo o in caso di ingerenza nell'esecuzione dell'appalto (Cass. nn. 11757/2011, 10588/2008, 21540/2007, 15185/2004, 9065/2006) o alla luce del fatto concreto (Cass. nn. 25758/2013, 2451/2011)"; ha aggiunto che "la responsabilità del committente (e per quanto già detto di ciascun subcommittente) va integrata alla luce della disciplina dell'art. 7 D.Lgs. 626/1994 (ed ora dell'art. 26 del TU n. 81/2008) il quale in ipotesi di appalti prevede un corredo di obblighi la cui attuazione da parte del committente risulta di essenziale importanza ai fini dell'esecuzione del lavoro in condizioni di sicurezza in tutti i casi di affidamento ad altre imprese delle singole fasi di produzione (valutazione dei rischi, informazioni, formazione, adozione di misure, cooperazione all'attuazione delle misure, coordinamento, controllo)"; con la conseguenza che "la responsabilità del committente (in relazione agli obblighi in discorso) è oggi normalmente implicata nell'esecuzione di un'attività produttiva attraverso contratti di appalto; talché il committente ne risponde tutte le volte in cui nel caso concreto non ha adempiuto ai propri obblighi in materia" (successive conf. Cass. n. 2517 del 2023; Cass. n. 13762 del 2024; Cass. n. 29157 del 2024; Cass. n. 34583 del 2024).

In continuità, Cass. n. 11918/2025 cit. ha sancito il seguente principio di diritto "Il datore di lavoro committente, che affidi lavori, servizi o forniture ad impresa appaltatrice nell'ambito della propria azienda nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo della medesima, è tenuto, ove abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto, all'adempimento degli specifici obblighi imposti dall'art. 26 del D.Lgs. n. 81 del 2008 e s.m.i.; nel caso di inadempimento di tali obblighi, il committente può essere ritenuto responsabile dell'infortunio sul lavoro occorso ai dipendenti dell'impresa appaltatrice, anche in mancanza di qualsiasi ingerenza sull'attività di quest'ultima".

2.1.6. Ciò posto, la sentenza impugnata non è conforme ai richiamati princìpi.

L'ambito di applicazione dell'art. 26, D.Lgs. 81/2008, pur riferendosi la disposizione specificamente alle figure tipizzate dell'appalto e del contratto d'opera, deve essere esteso anche ad altre fattispecie contrattuali tutte le volte in cui si realizzi l'integrazione di diverse organizzazioni e soggettività giuridiche all'interno del medesimo scenario d'impresa.

Se la chiara finalità garantista della normativa è quella di indurre l'imprenditore committente ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali, promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, non è dirimente la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese, quanto l'effetto che detto rapporto crea dal punto di vista della coesistenza di attività nel medesimo luogo lavorativo, di modo che il committente deve farsi garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia di tutti coloro chiamati ad operare nel medesimo ambito che realizzi una "compresenza" organizzata e coordinata, secondo una valutazione che, nella prospettiva prevenzionale, deve chiaramente essere effettuata ex ante e non può essere lasciata ad una mera verifica ex post.

2.1.7. Invero, questa Corte (Cass. n. 2517 del 2023) ha interpretato la disciplina interna in materia coerentemente con l'art. 6, par. 4, della Direttiva 89/391/CEE, il quale - laddove impone la previsione degli obblighi ivi previsti "quando in uno stesso luogo di lavoro sono presenti i lavoratori di più imprese" - è da intendere "non già in un rigoroso ambito endo-aziendale", quanto piuttosto quale "compresenza" organizzata e coordinata di lavoratori di più imprese, "in un 'luogo' individuato come medesimo dal 'lavoro' (...), corrispondente alla finalità di 'realizzazione dell'opera'(... prevista dall'art. 8 della Direttiva 92/57/CEE) e, quindi, di una compartecipazione attiva dei predetti lavoratori ad essa, sinergicamente orientata al medesimo scopo produttivo, nell'ambito di un'identità locale in senso funzionale, non astratto (ma neppure ridotto ad una stretta contiguità fisica), da accertare di volta in volta secondo le concrete modalità operative del procedimento di realizzazione dell'opera"; la pronuncia citata aggiunge che, nella categoria "datori di lavoro" tenuti ai suddetti obblighi, rientrano anche il subcommittente e il subappaltatore, "qualora collaborino insieme nell'ambito di un medesimo procedimento (produttivo in senso lato), finalizzato alla realizzazione di una stessa opera (...), che si compia all'interno di un qualunque luogo a ciò funzionalmente destinato e che li coinvolga entrambi in attività, ancorché parziali e diverse, sinergicamente dirette al medesimo scopo produttivo così rendendoli reciprocamente responsabili delle omissioni degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori in essa impiegati" (conf. Cass. n. 11918/2025 cit.).

2.1.8. Nella specie non è dubbio che la committente EURO FURNITURE PANELS Srl, imprenditore professionale, avesse affidato lavori di manutenzione ad altra impresa da eseguirsi all'interno della propria azienda, luogo di cui aveva certamente la disponibilità giuridica e nell'ambito di tale ambiente di lavoro, di cui aveva la titolarità e il controllo delle fonti di rischio, era destinata a realizzarsi una "compresenza" di lavoratori di più imprese, anche solo potenziale, comunque rilevante secondo la disciplina interna e comunitaria in materia.

La Corte territoriale ha, invece, in radice escluso integralmente l'applicabilità dell'art. 26 del Testo Unico del 2008 (e implicitamente anche dell'art. 2087 c.c.) sulla base di rilievi ex post, ciascuno di per sé solo non dirimente ai fini dell'operatività della disposizione.

In considerazione della richiamata giurisprudenza di questa Corte non era, infatti, sufficiente la sola verifica che non fosse ravvisabile una culpa in eligendo o in vigilando della committente ovvero che quest'ultima non si fosse ingerita nell'esecuzione del servizio di manutenzione, né tanto meno la mera circostanza che al momento dell'intervento fossero state sospese le lavorazioni e non ci fossero "punti di contatto con altri macchinari in movimento"; altrimenti ragionando, sarebbe sufficiente ad escludere qualsivoglia rischio interferenziale, ed i conseguenti obblighi di prevenzione stabiliti dall'art. 26, il mero avvicendarsi di lavoratori di diverse imprese pur nel medesimo scenario lavorativo, tale da evitare la sola fisica presenza contestuale, come se non fosse, invece, la comunanza dell'ambiente in cui è svolta la prestazione a generare un perdurante rischio di infortuni e, quindi, a determinare la necessità di attivare le procedure di informazione e consultazione previste dalla legge all'insegna del principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile.

Di conseguenza la Corte territoriale avrebbe prima dovuto accertare l'eventuale inadempimento dell'azienda committente agli obblighi previsti dall'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008 e, poi, verificare in concreto l'incidenza causale degli accertati inadempimenti sulla eziologia del sinistro verificatosi. Solo all'esito di tale indagine, condotta alla luce dei criteri civilistici di imputazione della responsabilità contrattuale, si sarebbe potuto giungere ad una eventuale esclusione di obblighi risarcitori in capo alla committente.

2.1.9. In mancanza di tale accertamento la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto affinché il giudice del rinvio provveda ad una rinnovata valutazione dei fatti di causa alla luce del parametro normativo così come individuato e correttamente interpretato in questa sede di legittimità, di modo che, accolti il primo e il secondo motivo di ricorso, restano assorbiti il terzo, il quarto e il quinto motivo successivi secondo l'ordine logico delle questioni.

3. Parimenti fondati sono il sesto e il settimo motivo di ricorso, scrutinabili congiuntamente per connessione in quanto concernenti la domanda di risarcimento del danno avanzata dai congiunti dell'infortunato.

3.1. Rappresenta acquisizione consolidata della giurisprudenza di questa Corte (su cui, di recente, v. Cass. n. 23300 del 2024) che ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali, può spettare anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato da lesione del rapporto parentale, in relazione alla particolare situazione affettiva della vittima, precisandosi, altresì, che "traducendosi il danno in un patema d'animo ed anche in uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto, esso non è accertabile con metodi scientifici e può essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità" (così Cass. n. 13540 del 2023).

Invero, "la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti", indifferentemente, "sia una sofferenza d'animo", sia "una perdita vera e propria di salute", sia "una incidenza sulle abitudini di vita" (cfr. Cass. n. 7748 del 2020).

Infatti, la lesione del rapporto parentale – al pari della definitiva perdita dello stesso – di regola produce - secondo l'id quod plerumque accidit, e fatta salva la prova contraria - delle ripercussioni nel "vissuto" del congiunto che, sebbene non assurgono a vera e propria compromissione della sua integrità fisiopsichica, meritano egualmente ristoro, perché apprezzabili come "sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo", ovvero "in termini dinamico-relazionali", per l'incidenza che quella lesione ha avuto "sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto" interessato (Cass. n. 28989 del 2019). Ciascuno di tali danni è, peraltro, solo impropriamente definito "riflesso", enfatizzandosi la circostanza che esso risulta "subito per una lesione inferta non a sé stessi, ma ad altri", mentre, in realtà, esso è pur sempre "la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette", ragion per cui non "v'è motivo di ritenere questi pregiudizi soggetti ad una prova più rigorosa degli altri, e dunque insuscettibili di essere dimostrati per presunzioni" (ancora Cass. n. 7748/2020, cit.).

Si tratta, dunque, di danni che "possono essere dimostrati per presunzioni, fra le quali assume rilievo il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto" (ancora Cass. n. 13540/2023, cit.), sicché è proprio "in tale quadro che emergerà, con intuitiva evidenza, il significato e il valore dimostrativo dei meccanismi presuntivi che, al fine di apprezzare la gravità o l'entità effettiva del danno, richiamano il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino)" (così, in motivazione, Cass. n. 28989 del 2019).

Collocandosi tale tipologia di danni nella medesima categoria dei danni da perdita del rapporto parentale, anche per essi, infatti, opera l'orientamento secondo cui l'esistenza stessa del rapporto di parentela lascia presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è, per comune esperienza, connaturale all'essere umano. Naturalmente, trattandosi di una praesumptio hominis, sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l'esistenza di circostanze concrete dimostrative dell'assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. n. 3767 del 2018; Cass. n. 31950 del 2018; Cass. n. 11212 del 2019; più di recente, diffusamente, Cass. n. 26140 del 2023).

Coerentemente con tali meccanismi presuntivi, in ordine alla liquidazione equitativa di siffatto danno non patrimoniale, a partire da Cass. n. 10579 del 2021, è stato affermato il principio secondo cui "Al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella" (successive conf. Cass. n. 26300 del 2021; Cass. n. 5948 del 2023; Cass. n. 25213 del 2024; Cass. n. 31681 del 2024; Cass. n. 6981 del 2025).

In definitiva va ribadito che chi agisce per il ristoro di tale tipologia di danni "secondo i principi generali – e dunque anche per via presuntiva – ha l'onere di dimostrare che è stato leso dalla condizione del congiunto, per cui ha subito un danno non patrimoniale parentale, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l'assenza di un legame affettivo, perché la sussistenza del predetto pregiudizio, in quanto solo presunto, può essere esclusa dalla prova contraria, a differenza del cd. 'danno in re ipsa', che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione" (così, ancora una volta, Cass. n. 13540/2023, cit.; conf. Cass. n. 23300/2024, cit.).

Quindi grava sul convenuto l'onere di provare che vittima e congiunto fossero tra loro indifferenti o in odio, e che, di conseguenza, la lesione subita dalla prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (per tutte v. Cass. n. 5769 del 2024, con la giurisprudenza ivi citata in motivazione).

3.2. Da tali princìpi si è evidentemente discostata la Corte veneziana che ha negato il risarcimento del danno alla madre, al padre ed ai fratelli di persona paraplegica costretta dall'età di 37 anni a vivere su di una sedia a rotelle, con necessità di assistenza continua, sul laconico assunto della "mancanza di prova sul mutamento delle abitudini di vita" di così stretti congiunti appartenenti alla convivente famiglia nucleare.

4. In conclusione, devono essere accolti il primo, il secondo, il sesto e il settimo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure ritenute fondate e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo pure alle spese del giudizio di legittimità.

Va, disposta, da ultimo, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003 delle parti ricorrenti.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo, il sesto e il settimo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese.

Ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di A.A., B.B., C.C., D.D., E.E., F.F.

Conclusione
Così deciso in Roma il 2 luglio 2025.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2025.

Iscriviti alla nostra newsletter

Thank you! Your submission has been received!

Oops! Something went wrong while submitting the form