E' responsabile il datore di lavoro delle lesioni subite dal lavoratore per non aver valutato il rischio nel lavoro di assistenza ad una macchina del caffè fuori dall'azienda

Cassazione Penale Sezione 4 Sentenza 2/5/2022 n 16816
IL DVR deve contemplare anche i rischi di lavorazione che si svolgono fuori dal lavoro
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Cassazione Penale Sezione 4 Sentenza 2/5/2022 n 16816

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: RICCI ANNA LUISA ANGELA
Data Udienza: 12/04/2022

Fatto


1. La Corte d'appello di Torino, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di quella città, ha dichiarato M.M., nella qualità di datore di lavoro, socio e amministratore della società "Master Ciok snc, responsabile del reato di cui all'art. 590 cod. pen., aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni del dipendente M.A. avvenuto in Torino il 31 maggio 2014.
La dinamica dell'infortunio, sulla quale non vi è contestazione, è stata così ricostruita. M.A., apprendista tecnico, impegnato in un intervento di assistenza presso l'esercizio commerciale denominato Gelateria del Centro per la sostituzione del motoriduttore di una macchina da caffè di proprietà della Master Ciok snc e concessa in comodato d'uso, in assenza di attrezzatura adeguata, stava estraendo a mani nude la coclea del motorino sito all'interno del granitore, allorquando la pressione esercitata aveva determinato lo sganciamento improvviso di tale tubo elicoidale, che aveva attinto il tecnico all'occhio destro, provocandogli la frattura del tetto orbitario a destra e la lesione del bulbo oculare con perdita del visus e incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni e indebolimento permanente dell'organo della vista.
Gli addebiti a carico dell'imputato sono stati individuati nella negligenza, imprudenza e imperizia e violazione degli artt. 2087 cod.civ., 28 commi 1 e 2 lett.a) e 71 comma 1, 36 e 37 D.Lgs 9 aprile 2008 n. 81, per aver omesso di prendere in considerazione i rischi derivanti dall'attività di assistenza e manutenzione delle macchine affidate in comodato ai clienti, per aver omesso di provvedere a fornire informazione e formazione specifiche e adeguate al personale addetto alla assistenza e per aver omesso di fornire a detto personale una attrezzatura adeguata alle mansioni da svolgere e dispositivi di protezione individuale idonei ed adeguati per gli interventi di assistenza tecnica.

2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando nove motivi.
2.1. Con i primi sette motivi ha dedotto la mancanza di motivazione rafforzata, nonché la contraddiottorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione ai diversi profili per i quali è stata affermata la responsabilità penale dell'imputato. Lamenta il ricorrente che la Corte di appello, nel riformare la sentenza di primo grado a seguito di sovrapponibili a quelli del primo grado, rinnovazione istruttoria con esiti non avrebbe raffrontato il proprio decisum con il giudizio espresso dal primo giudice ed avrebbe omesso di dimostrare, come invece avrebbe dovuto, la incompletezza e l'incoerenza della argomentazioni poste a fondamento della pronuncia assolutoria. La Corte avrebbe adottato una motivazione carente:
- nel ritenere che il datore di lavoro non aveva previsto nel DVR la procedura da adottare per gli interventi di manutenzione straordinaria svolti fuori dall'azienda, senza confrontarsi con gli argomenti svolti su tale specifico profilo dal primo giudice, il quale aveva, invece, evidenziato che le procedure operative per la sostituzione del motoriduttore erano allegate al DVR e che l'operazione, peraltro fra le più semplici e frequenti, al di fuori dell'azienda non necessitava di strumentazione differente rispetto a quella (pinze e solvente per eliminare le incrostazioni che avevano causato il blocco dell'asta metallica) presente nella cassetta degli attrezzi che si trovava sul furgone e che M.A., per sua scelta, non aveva portato con sé. Sul medesimo addebito, relativo alla omissione di valutazione del rischio dell'attività da svolgersi fuori dalla sede aziendale, il secondo giudice avrebbe, quindi, pretermesso rilevanti risultanze probatorie e si sarebbe limitato a fornire una diversa valutazione non suffragata da dati concreti e caratterizzata da minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, senza nemmeno porne in luce eventuali carenze.
- nel ritenere la rilevanza causale, rispetto all'evento verificatosi, del mancato svolgimento del corso da RSPP da parte del datore di lavoro e del mancato svolgimento del corso di apprendistato da parte del lavoratore, senza confrontarsi con gli argomenti svolti su tali specifici punti dal primo giudice. Questi aveva, invece, evidenziato che M.A., sebbene inquadrato come apprendista agli effetti del contratto di lavoro, aveva ricevuto in concreto formazione e informazione rispetto all'incarico assegnatogli (tanto che gli inquirenti sul punto non avevano mosso alcun rilievo) e che il mancato svolgimento da parte del datore di lavoro del corso RSPP non aveva connessione alcuna con la formazione e informazione ai dipendenti
- nel ritenere sussistente l'addebito relativo alla mancata formazione e informazione del lavoratore, non surrogata dalla partecipazione a due soli corsi risoltisi in poche giornate (il primo il 13 e il 14 novembre 2013 e il secondo nel febbraio 2014) nei quali non sarebbero stati trattati i temi della sicurezza per lavoratori addetti alla manutenzione dei macchinari, senza confrontarsi con gli argomenti svolti dal primo giudice, il quale aveva escluso la carenza di formazione del lavoratore. Il Tribunale in proposito aveva valorizzato la deposizione del tecnico dello Spresal, il quale aveva riferito che sotto il profilo della formazione non erano stati mossi rilievi, e la deposizione dell'ex dipendente -A. teste indifferente, il quale aveva affermato che in occasione di uno dei due corsi era stato loro spiegato come intervenire sulle macchine e di non «usare mai il corpo».
- nel ritenere che M.A. non fosse stato in alcun modo affiancato nello svolgimento delle proprie mansioni dal tutore contemplato dalle norme sull'apprendistato e si fosse trovato impreparato, quando, per la prima volta, aveva dovuto effettuare una operazione di quel tipo, senza confrontarsi con gli argomenti del primo giudice, il quale aveva invece desunto dalla deposizioni dei testi A. e S. che la pulizia delle macchine era attività frequente, svolta sia in sede, sia presso clienti e che M.A. era stato affiancato ad altri dipendenti per l'apprendistato nel ritenere la inidoneità degli attrezzi forniti al lavoratore a eseguire operazioni di manutenzione in sicurezza ed in particolare l'operazione di estrazione di aste o pezzi interni, che avrebbe dovuto essere attuata tramite estrattori meccanici. Con riferimento a tale ultimo profilo il ricorrente ha anche dedotto la violazione della legge processuale, rilevando che era stato il CT di parte civile ad invocare tale strumento quale unico mezzo idoneo nel caso in esame nel corso della deposizione che in realtà avrebbe dovuto essere dichiarata inutilizzabile, giacchè la difesa non ne aveva dedotto l'esame a prova contraria nella fase degli atti introduttivi a dibattimento. In ogni caso i giudici non si sarebbero confrontati con gli argomenti del Tribunale, che aveva evidenziato come il tecnico dello Spresal avesse ritenuto sufficiente, per l'evenienza che si era verificata, una semplice pinza presente nella cassetta degli attrezzi che M.A. aveva lasciato sul furgone, né con le deposizioni dei testi A., S. e M.M., acquisite in sede di rinnovazione istruttoria, i quali tutti avevano affermato che ai fini l'estrazione dell'asta erano sufficiente l'acqua calda, la pinza e il solvente - nel ritenere che M.A. non avrebbe potuto decidere autonomamente se intervenire sul macchinario sul posto o se portarlo in azienda, sarebbe trattato di aspetto concordato direttamente fra il responsabile dell'azienda ed il cliente, senza confrontarsi con la motivazione del giudice di primo grado, il quale aveva richiamato le deposizioni dei testi S. e A., secondo i quali era prassi aziendale portare le macchine in sede o quanto meno comunicare con il laboratorio nel caso di impossibilità di concludere intervento in loco, e con la deposizione resa dal teste S., il quale in sede di rinnovazione dell'istruttoria, aveva confermato tale assunto - nel ritenere rilevanti sotto il profilo della causazione dell'evento la mancata consegna a M.A. degli occhiali protettivi, quando invece il tecnico Spresal aveva precisato che gli occhiali erano un dispositivo di protezione atto a prevenire un rischio diverso, rispetto a quello concretizzatosi nell'infortunio di M.A., ovvero il rischio per l'operatore di essere attinto dalla proiezione di schegge, molle e vit i e non già dell'asta metallica.
2.2. Con l'ottavo motivo ha dedotto l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 41 , 590 comma 3 e 583 cod. pen. in tema di causa sopravvenuta ed interruzione del nesso causale. Lamenta il ricorrente che il giudice del gravame nell'escludere l'interruzione del nesso di causa tra la condotta del garante e l'evento avrebbe omesso ogni indagine relativa alla violazione da parte del lavoratore delle direttive impartite dal datore di lavoro, nonché delle elementari regole cautelari che il d.lgs 81/2008 ha posto direttamente a carico del lavoratore medesimo. Il primo giudice, invece, aveva osservato come nel caso in esame il lavoratore avesse violato una norma cautelare (ovvero quella di non tirare con forza le parti incastrate del macchinario per staccarle in direzione del suo corpo), così elementare, generale e aspecifica, da non potersi pretendere la sua codificazione in un DVR, ed aveva anche rilevato che lo stesso D.lgs impone al lavoratore un dovere di attenzione.
2.3. Con il nono motivo ha dedotto inosservanza o erronea applicaizone della legge penale in relazione agli artt. 42 e 43 e 590 cod.pen. e mancanza, contraddittorieta e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione dell'elemento soggettivo richiesto per integrare la fattispecie. Lamenta il ricorrente che la Corte di appello si sarebbe limitata ad affermare, sotto tale aspetto, che l'evento lesivo fosse occorso a causa e nell'esercizio dello svolgimento di attività in contesto lavorativo e come tale fosse del tutto prevedibile e prevenibile.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Simone Perelli, ha chiesto rigettarsi il ricorso


Diritto


1. Il ricorso deve essere rigettato.


2. La Corte di Appello, nella sentenza impugnata ha ritenuto a seguito della rinnovazione istruttoria consistita nell'esame dei testi le cui dichiarazioni apparivano decisive (la parte civile M.A., l'Ispettore Spresal DM. , il dipendente della ditta K Service M.T., il collaboratore ed i dipendenti della ditta Master Ciok snc G.M., S. e A.), che l'infortunio stesso fosse ascrivibile a profili di colpa in capo all'imputato.

La Corte ha ritenuto che il datore di lavoro non avesse effettuato la valutazione del rischio specifico cui era incorso il lavoratore nello svolgimento delle operazioni di manutenzione della macchina, rilevando che nel DVR in atti non era contenuta la valutazione dei rischi per le operazioni da svolgersi non già in azienda, bensì presso il committente e quindi in spazi non adeguati e non dotati dei necessari presidi: nel caso in esame, ad esempio, come riferito dal teste M.A. in sede di rinnovazione, in loco era quasi del tutto assente l'acqua calda che avrebbe agevolato lo scioglimento delle incrostazioni.
La Corte ha, inoltre, ritenuto che il datore di lavoro avesse omesso di apprestare nei confronti del dipendente adeguata informazione e formazione. Sotto tale profilo ha rilevato che M.A. il giorno dell'infortunio per la prima volta si era imbattuto nella difficoltà di estrarre la coclea a causa delle incrostazioni che si erano formate e che, come riferito dal teste S., dipendente della stessa ditta, si trattava di una evenienza rara (alla domanda se tale accadimento fosse o meno frequente, aveva replicato in primo grado "cinque volte su mille" ed in grado di appello "una volta su dieci"). Il teste T., a proposito dei corsi frequentati, aveva riferito che non si era parlato di sistemi di sicurezza, ma solo di rischi "elettrici" e che in ogni caso in detti corsi non si erano affrontati i problemi che potevano insorgere nella manutenzione di macchinari datati e recanti incrostazioni. M.A., inoltre, non era stato affiancato dal tutore come prescritto dalla normativa sull'apprendistato e il datore di lavoro non aveva lui stesso frequentato il corso da RSPP che lo avrebbe posto nelle condizioni di poter adeguatamente formare i dipendenti.
La Corte ha anche motivato in merito alla mancata fornitura della attrezzatura idonea e soprattutto di adeguati dispositivi di protezione individuale, quali gli occhiali protettivi. Censurando la motivazione del giudice di primo grado, secondo il quale detti occhiali erano volti a prevenire il rischio di impatto rispetto alla proiezione di schegge e viti e quindi rispetto ad un rischio assente nell'attività alla quale era impegnato M.A., i giudici del gravame hanno puntualizzato come fosse stato lo stesso tecnico dello Spresal a concludere che se M.A. avesse indossato gli occhiali protettivi l'impatto dell'asta sugli occhi avrebbe avuto un diverso effetto ( «... per proteggere degli occhiali in plastica per la protezione degli occhi, visto che comunque veniva smontato il motore magari poteva essere anche soltanto una vite una molla che poteva scattare e quindi si poteva prevenire.. sicuramente forse avrebbe attenuato l'impatto ecco» pag 19 trascr. udienza del 13.4.2021)
La Corte ha ritenuto significativa la circostanza riferita da Giorgio M.M., padre dell'imputato e collaboratore in azienda, per cui le modalità di manutenzione, in loco o in azienda, venivano concordate direttamente fra il responsabile dell'azienda e il cliente: nel caso in esame M.A. non aveva neppure portato con sé una macchina di ricambio, onde l'opzione della riparazione in azienda non sarebbe stata praticabile concretamente ed in ogni caso il fatto che M.A. non si fosse consultato con il datore di lavoro sul da farsi era sintomatico delle carenze sul piano della sua formazione ed informazione.
Infine i giudici hanno richiamato la costante giurisprudenza di questa Corte in merito alla irrilevanza, al fine della interruzione del nesso causale tra la condotta e l'evento, del comportamento del lavoratore, a meno che lo stesso non abbia carattere di eccezionalità, abnormità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive ricevute ed hanno ritenuto che la procedura seguita dall'infortunato, lungi dall'essere abnorme e come tale imprevedibile da parte del datore di lavoro, si inseriva al contrario nel segmento dell'attività che gli era stata demandata ed in ogni caso non gli era stata efficacemente preclusa: l'eventuale comportamento negligente del lavoratore in ogni caso -ha osservato la Corte- era da ricondurre alla insufficienza delle cautele apprestate dal titolare .della posizione di garanzia.

3. I motivi sono infondati.
Invero nel caso in esame la Corte di Appello ha fatto buon governo del consolidato principio per cui, nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, i giudici devono dare compiuta indicazione delle ragioni in forza delle quali una determinata prova assume una valenza dimostrativa diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché adottare un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore, a prescindere dalla rinnovazione dell'istruttoria, prevista dall'art.603, comma 3- bis, cod.proc.pen (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P. Rv. 278056).
3.1 Quanto ai primi sette motivi la Corte ha dato conto, infatti, dei passaggi istruttori, anche in sede di rinnovazione, dai quali ha tratto gli argomenti a sostegno dei ravvisati profili di colpa in capo al lavoratore ed ha confutato le argomentazioni svolte sul punto dal giudice di primo grado. In particolare appaiono dirimenti le considerazioni svolte in ordine alla sussistenza di, quanto meno, alcuni degli addebiti di colpa specifica mossi all'imputato, ovvero:
-del profilo di colpa relativo alla mancata valutazione del rischio per le operazioni da effettuarsi in luoghi diversi rispetto alla azienda: il DVR trascurava del tutto tale aspetto che non era secondario, come dimostrato dal fatto che presso l'esercizio commerciale in cui si trovava la macchina del caffè non era presente l'acqua calda con cui avrebbero dovuto essere sciolte le incrostazioni e come dimostrato dal fatto che non fosse stato chiarito a sufficienza fra gli operatori quando sarebbe stato necessario effettuare la riparazione direttamente in azienda
-del profilo di colpa relativo alla formazione ed informazione del lavoratore dipendente M.A., affidata ad una esperienza pratica e non già come si sarebbe dovuto alla organizzazione di corsi nei quali fossero state spiegate le modalità di riparazione e soprattutto le procedure di sicurezza da adottare. Il Tecnico Spresal DM. aveva rilevato carenze sotto il profilo della informazione e testi M.T. e M.A. avevano chiarito che nelle tre giornate di lezione che la parte civile aveva frequentato non era stato adeguatamente affrontato il tema della sicurezza e soprattutto non era stato spiegato con quali modalità intervenire su macchine usate che avrebbero potuto presentare inconvenienti quale quello che si era poi verificato nel caso in esame. A fronte delle dichiarazioni di detti testi, il fatto che su sollecitazione della difesa il teste A., alla domanda se avessero spiegato loro di non utilizzare direttamente il corpo per intervenire sulle macchine, avesse risposto con un laconico "si si" , pare elemento non in grado di scalfire il quadro probatorio delineato nella sentenza impugnata - del profilo di colpa relativo alla mancata messa a disposizione di dispositivi di protezione individuale ed in particolare degli occhiali di plastica che, come chiarito dal tecnico Spresal, nel caso in esame avrebbero evitato che l'asta impattasse direttamente contro l'occhio: sotto tale ultimo profilo la distinzione, operata dal ricorrente, fra il rischio, per l'operatore, di essere attinto da viti o molle, ed il rischio di essere attinto da altre parti della macchina, quali l'asta non pare, essa sì, logica .
3.2. Quanto all'ottavo motivo, la Corte, inoltre, ha escluso che nel caso in esame il comportamento del lavoratore infortunato (anche a voler considerare imprudente la condotta consistita nell' avvicinare il corpo alla macchina e negligente la condotta consistita nell'aver lasciato sull'auto la cassetta degli attrezzi) potesse aver determinato una interruzione del nesso causale, con motivazione coerente e conforme alle elaborazioni giurisprudenziali intervenute al riguardo.
In materia di prevenzione antinfortunistica, si è effettivamente passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, sui quali, ai sensi dell'art. 20 d.lgs. n. 81/2008, grava effettivamente l'obbligo di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/02/2016, Santini e altro, Rv. 266073).
Tuttavia, pur dandosi atto che a seguito dell'introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008 si è passati dal principio «dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore» al concetto di «area di rischio» (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dal.la sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT e/ Musso Paolo, rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Data tale premessa, la decisone della Corte d'appello anche in relazione a tale profilo appare coerente con i su indicati principi e non si presta a censura alcuna. Nel caso in esame la condotta del lavoratore infortunatosi è stata posta in essere nell'ambito delle mansioni a lui affidate e non ha attivato un rischio eccentrico, rispetto alla sfera governata dal titolare della posizione di garanzia. Non può, dunque, dirsi che tale condotta possa assurgere a causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento ed in quanto tale idonea ad interrompere il nesso causale fra la condotta e l'evento. Inoltre, da un lato, la asserita condotta negligente ed imprudente del lavoratore sarebbe consistita nell'essersi affidato ad una procedura che non gli era stata preclusa dal datore di lavoro, ed in quanto tale non potrebbe considerarsi abnorme, e dall'altro, l'evento, a prescidere dalla imprudenza del lavoratore, era da ricondurre alla mancata adozione di cautele (ed in particolare alla mancata messa a disposizione dei dispositivi di protezione quali gli occhiali) che se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal comportamento imprudente.
3.3. Quanto al nono motivo, la motivazione della Corte di appello anche in merito all'elemento soggettivo appare immune da censure e non carente, avendo esplicitato in maniera analitica tutte le violazioni delle regole cautelari imputabili al datore di lavoro, nonché la prevedibilità e prevenibilità dell'evento lesivo, verificatosi nello svolgimento da parte del lavoratore dell'attività a lui demandata.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione della spese di giudizio sostenute dalla parte civile M.A. che liquida in euro 3000,00 oltre accessori come per legge


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile M.A. che liquida in euro 3000,00 oltre accessori come per legge
Deciso il 12 aprile 2022

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