E' colpa del datore di lavoro se il lavoratore si fa male perchè la sega circolare ha il blocco di protezione malfunzionante

Cassazione Penale Sezione 4 Sentenza gennaio 2022 n 2173
Colpa del datore di lavoro, che viene però prosciolto per particolare tenuità del fatto
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Cassazione Penale Sezione 4 Sentenza gennaio 2022 n 2173

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 15/12/2021

Fatto


1. La Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale cittadino aveva assolto Q.F. dal reato di cui all'art. 590, c. 2, cod. pen. ai danni del lavoratore H.P., per particolate tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis, cod. pen. In particolare, si è contestato al Q.F., n.q. di datore di lavoro della vittima, di avere consentito o, comunque, di non avere evitato che il lavoratore utilizzasse, nell'espletamento delle proprie mansioni, una sega circolare in stato di manutenzione non idoneo, presentando la cuffia di protezione al disco di taglio sollevata dalla posizione di sicurezza prevista dal costruttore, lasciando il disco stesso completamente libero e privo quindi della sua protezione contro il rischio di taglio, così cagionando all'infortunato lesioni gravissime a due dita della mano sinistra.

3. Ha proposto ricorso il Q.F. con difensore, formulando due motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, anche per travisamento probatorio, in ordine alla prova del funzionamento e dello stato di manutenzione della sega circolare al momento dell'infortunio. La difesa richiama la testimonianza della persona offesa per inferirne prova che la copertura della lama era stata forzata dal lavoratore e che, pertanto, era errato affermare, come fatto dai giudici d'appello, che costui avrebbe semplicemente sollevato il carter con le mani.
Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento a tre distinti profili.
Quanto al primo, ha rilevato che, una volta che il lavoratore era intervenuto, come dallo stesso ammesso, sul macchinario, usandolo in maniera distorta, il suo comportamento era tale da aver interrotto il nesso di causalità tra la condotta ascritta al Q.F. e l'evento, poiché tale comportamento era stato del tutto imprevedibile.
Sotto altro profilo, si rileva che la violazione della regola cautelare non sarebbe stata causa dell'evento perché il sollevamento del carter di copertura della lama era stato del tutto ininfluente rispetto alle modalità del ferimento, avvenuto non per contatto con la parte tagliente dello strumento, ma perché il lavoratore aveva deciso di rimuovere un pezzo di legno dalla parte laterale della lama, cosicché lo stato manutentivo dell'asola si sarebbe rivelato del tutto irrilevante da un punto di vista causale. La difesa, peraltro, contesta l'affermazione secondo cui il lavoratore non fosse avvezzo all'uso di quello strumento, rilevando che nessun addebito era stato mosso al Q.F. quanto all'assolvimento degli obblighi di formazione e informazione della persona offesa e che, comunque, l'infortunato aveva già svolto quelle mansioni, anche se non vi era addetto di frequente.
Infine, secondo la difesa, la Corte territoriale avrebbe ignorato gli obblighi che lo stesso testo unico sulla sicurezza dei luoghi di lavoro pone a carico del lavoratore, richiamando l'art. 20 del d. lgs. n. 81/2008 e la volontarietà dell'azione della persona offesa che aveva ammesso di aver agito in un " attimo di follia" .

Diritto


1. Il ricorso va rigettato.

2. La Corte territoriale, con analitica e puntuale descrizione della dinamica, suffragata dalle risultanze processuali indicate in sentenza, mediante un richiamo a quella appellata, nel rispondere alle doglianze difensive riproposte in questo grado, ha precisato che la persona offesa non era avvezza all'uso di quello strumento di lavoro, per come riferito dal medesimo; che egli aveva sollevato il carter di protezione già lavorando a lama libera, prima di tentare di rimuovere manualmente un residuo di legno; che aveva sollevato la copertura con le mani in maniera del tutto agevole (utilizzando l'avverbio "semplicemente", censurato dalla difesa), come peraltro ripetuto dagli organi accertatori in sede di sopralluogo, a conferma del fatto che il macchinario si presentava nelle stesse condizioni nelle due diverse occasioni e come era emerso anche dalle dichiarazioni, ritenute benevole dai giudici territoriali, della persona offesa, ancora alle dipendenze del Q.F., non avendo dovuto adoperare alcuno strumento o accorgimento per spingere la copertura, ma solo imprimere una "certa forza". Tale comportamento, pur imprudente e negligente, non ha avuto per la Corte d'appello efficacia interruttiva del nesso causale, non essendo stato imprevedibile e non avendo dovuto il lavoratore superare ostacoli correttamente frapposti dal datore di lavoro per un utilizzo scorretto dei macchinari: nella specie, infatti, il carter non aveva svolto la sua funzione protettiva, essendo facilmente rimovibile. In altri termini, la non conformità del macchinario non consentiva di chiamare in causa il dovere di collaborazione del lavoratore previsto dalla normativa vigente .
Quanto alla contestata rilevanza di tale non conformità sulla manovra rischiosa posta in essere dal lavoratore, poi, la Corte fiorentina ha precisato che la visione delle foto in atti aveva consentito di constatare che, ove il carter fosse rimasto chiuso, non ci sarebbe stata alcuna concreta possibilità per il lavoratore di introdurre lateralmente la mano.

3. I motivi sono tutti infondati, sia quanto al tema della verifica del nesso causale e del collegamento tra la regola violata e l'evento, che avuto riguardo all'evocato effetto interruttivo in conseguenza di un comportamento imprevedibile del lavoratore, posto in essere in violazione dell'obbligo di collaborazione di cui all'art. 20, d. lgs. n. 81 del 2008.

4. In linea generale, deve intanto ribadirsi che, in caso di doppia sentenza conforme (e tali devono considerarsi le due sentenze di merito quanto alla ricostruzione dei fatti e al giudizio di imputabilità dell'evento alla condotta dell'imputato), la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (cfr. sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615).

5. Fatta tale premessa, si osserva che l'intera impalcatura difensiva si fonda su due dati fattuali, smentiti dalle prove esposte nella sentenza impugnata, risultanti da una lettura conforme da parte dei giudici dei due gradi di merito: la copertura rimossa dal lavoratore non avrebbe impedito, ove correttamente posizionata, il ferimento della mano; il lavoratore avrebbe posto in essere una vera e propria manomissione dello strumento di lavoro, evenienza come tale del tutto imprevedibile.
Quanto al primo elemento, la Corte del merito ha espressamente richiamato la documentazione fotografica in atti per affermare che il carter avrebbe, ove correttamente posizionato, impedito al lavoratore l'inserimento laterale della mano e, rispetto a tale netta affermazione, sostenuta dalla diretta percezione delle foto dello strumento da parte dei giudici, la difesa si è limitata ad affermare il contrario (cfr. pag. 11 del ricorso).
Quanto al secondo, invece, la difesa ha ritenuto che il posizionamento errato della copertura fosse stato conseguenza di una manovra articolata che avrebbe determinato sostanzialmente la rottura dell'asola/fermo del coperchio: trattasi, ancora una volta, di un dato fattuale esaminato apertamente dai giudici del merito, i quali hanno ritenuto che, al contrario, la manovra improvvida del lavoratore era stata semplice e non aveva richiesto se non una minima forzatura del carter, proprio perché era stata omessa la misura di sicurezza intesa a evitare un tale rischio.
Infine, con riferimento al comportamento del lavoratore, agli obblighi collaborativi che il sistema prevenzionistico impone anche a tale figura e all'invocato effetto interruttivo del collegamento tra la condotta addebitata e l'evento, deve rilevarsi che le conclusioni dei giudici territoriali sono coerenti con i principi più volte affermati in sede di legittimità.
È certamente vero, infatti, che - in materia di prevenzione antinfortunistica - si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d. lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini e altro, Rv. 266073).

Tuttavia, pur dandosi atto che - da tempo - si è individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 41486 del 2015, Viotto), passandosi, a seguito dell'introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.).
All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT e/ Musso Paolo, rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Nella risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito non si riviene alcun vizio motivazionale che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto nella sentenza censurata, le cui argomentazioni, al contrario, tengono in debito conto i principi testé richiamati. Nella specie, il lavoratore ha agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnategli e la scelta di alzare la copertura della lama della sega circolare è stata resa possibile proprio dal malfunzionamento della misura protettiva.

6. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso il 15 dicembre 2021

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