Anche per il Tribunale di Messina è discriminatorio un unico periodo di comporto per normodotati e per disabili

Tribunale di Messina Sentenza 10/10/2023 n 1757
La retinite pigmentosa ingravescente rappresenta una minorazione fisica idonea a ostacolare la vita lavorativa del lavoratore, quindi è disabilità
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Sentenza n. 1757/2023 pubbl. il 10/10/2023

RG n. 3704/2020

Sentenza a verbale del 10/10/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MESSINA

– Sezione Lavoro –

in persona del giudice unico Valeria Totaro ha pronunciato,in esito al deposito di note scritte, la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 3704/2020 r.g. e vertente

tra

AB elettivamente domiciliata in Messina presso lo studiodegli avv.ti Aurora Notarianni e Maria Grazia Belfiore

che la rappresentano e difendono per procura in atti,

ricorrente

e

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA in persona del Rettore protempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato presso i cui ufficidi Messina è ope legis domiciliata,

resistente

oggetto: assenze per malattia lavoratore disabile.

FATTO E DIRITTO

1.- Con ricorso depositato il 29 settembre 2020 AB adivaquesto giudice del lavoro e, premesso di essere

dipendente dell’Università degli Studi di Messina, Areaamministrativa, dall’agosto 2002, dapprima in forza di

molteplici contratti a termine e dal 1 luglio 2008 in virtùdi un contratto a tempo pieno e indeterminato,

deduceva di aver svolto la propria attività lavorativa pressol’ufficio ragioneria fino alla prima metà del 2014, ma

di essere affetta da retinite pigmentosa ingravescenteall’occhio destro e di aver subito a partire dal giugno di tale

anno un progressivo aggravamento delle proprie condizioni disalute, con nuova diagnosi di “cheratite da

acanthamoeba” all’occhio sinistro, che rendeva necessaridiversi ricoveri ospedalieri urgenti - il primo nel gennaio

2015 presso il centro cornea del San Raffaele di Milano - edue interventi in emergenza – di “cheratoplastica

perforante terapeutica con trapianto corneale” eseguito indata 17 marzo 2015 presso il San Raffaele di Milano,

con esito però negativo e conseguente rigetto con ascesso nel2017, e successivo intervento per “cataratta

complex e sinechie (aderenze dell’iride)” nel luglio dellostesso anno -, cui facevano seguito pesanti terapie

parzialmente invalidanti; rilevava, altresì, di essere statariconosciuta nel luglio 2017 soggetto portare di handicap

in situazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, dellalegge n. 104/1992 dalla Commissione Medica per

l’accertamento dell’handicap di Messina, con invalidità nonpiù rivedibile pari all’80% a decorrere dal 31 luglio

2018, e di essere iscritta all’Unione Italiana ciechi dal2019. Lamentava che nonostante le lunghe assenze dal

lavoro fossero strettamente correlate alle malattieinvalidanti e alle gravose terapie di supporto, l’Università a far

data dal maggio 2019 (e dunque al superamento dei 9 mesi dimalattia) aveva iniziato ad operare nei propri

confronti una riduzione stipendiale del 10% per i primi 3mesi, del 50% per i successivi 6 mesi, fino alla totale

privazione della retribuzione a decorrere dal febbraio 2020.

Chiedeva, pertanto, in via d’urgenza di ordinare alla datricedi lavoro l’immediata corresponsione in proprio

favore della retribuzione mensile, dovendosi escludere, aisensi dell’art. 35, comma 14, del CCNL di comparto,

dal computo del periodo di comporto le assenze per malattiaconnessa alla condizione di disabilità; e, nel merito,

di accertare il proprio status di disabilità, con condannadell’Università all’adozione dei provvedimenti e/o degli

accomodamenti atti a consentirle di accedere a proficuolavoro e alla corresponsione delle retribuzioni non

versate dal febbraio 2020 alla data di deposito del ricorso,oltre a quelle corrisposte solo in parte con riduzione

dal maggio 2019 al gennaio 2020, nonchè al risarcimento deldanno non patrimoniale subito, da liquidarsi in via

equitativa.

Nella contumacia della convenuta, la domanda cautelare venivaaccolta con ordinanza n. 19767 del 4 novembre

2020, non reclamata.

Quindi, costituitasi la resistente e sostituita l’udienza del3 ottobre 2023 dal deposito telematico di note scritte,

ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c., la causa viene decisa conadozione fuori udienza della sentenza.

2.- Si premette che, analogamente a quanto previsto per ilrapporto di lavoro privato, anche nel pubblico

impiego contrattualizzato la malattia come causa disospensione del rapporto di lavoro trova la sua regolazione

nell’art. 2110 c.c., il quale, nell’affermare in via generaleil diritto del prestatore alla conservazione del posto di

lavoro e del relativo trattamento economico, rinvia per gliaspetti quantitativi e temporali alla legge o al contratto

collettivo di riferimento. Quanto al comparto Universitàviene in rilievo l’art. 35 del c.c.n.l. 2006-2009, il quale

prevede che il dipendente non in prova, assente per malattia,ha diritto alla conservazione del posto per un

periodo di 18 mesi (comma 1), con integrale corresponsionedel trattamento economico fondamentale di cui

all’art. 83 (“stipendio tabellare; posizioni economiche;eventuali assegni “ad personam”; retribuzione individuale di

anzianità ove acquisita; equiparazione stipendiale previstadall’art. 31 del dpr n. 761/79 esclusivamente per la

parte utile in quota A del trattamento pensionistico”) per iprimi 9 mesi, poi ridotto al 90% per i successivi 3 mesi e

al 50% per gli ulteriori 6 mesi (comma 8). E che superatotale periodo, al lavoratore che ne faccia richiesta può

essere concesso, per casi particolarmente gravi, diassentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi, senza diritto ad

alcun trattamento retributivo (comma 2).

Precisa poi che “l’assenza per malattia ovvero la suaeventuale prosecuzione deve essere comunicata alla struttura

di appartenenza tempestivamente e comunque all'inizio delturno di lavoro del giorno in cui si verifica, salvo

comprovato impedimento. Il dipendente, salvo

comprovato impedimento, è tenuto a recapitare o spedire amezzo raccomandata con avviso di ricevimento il

certificato medico attestante lo stato di infermitàcomportante l'incapacità lavorativa e con l’indicazione della sola

prognosi, entro i cinque giorni successivi all'inizio dellamalattia o alla eventuale prosecuzione della stessa” (comma

9).

Il comma 14 dello stesso articolo prevede inoltre, per ilcaso di gravi patologie che richiedano terapie

temporaneamente e/o parzialmente invalidati, l’esclusione dalcomputo dei giorni di assenza per malattia di cui al

comma 1, oltre che del giorno di ricovero ospedaliero o diday hospital, “anche quelli di assenza dovuti alle

conseguenze certificate delle terapie” per i quali spettal’intera retribuzione.

La necessità di tale esclusione è stata sottolineata dallaCorte Costituzionale nella recente pronuncia n. 28/2021,

intervenuta nel corso del giudizio e resa con riferimentoall’impiego pubblico non contrattualizzato. Con essa,

nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 68,comma 3, d.P.R. n. 3/1957 nella parte in cui “per il caso di

gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/oparzialmente invalidanti, non esclude dal computo dei

consentiti diciotto mesi di assenza per malattia i giorni diricovero ospedaliero o di day hospital e quelli di assenza

dovuti alle conseguenze certificate delle terapie”, la Corteha evidenziato il ritardo storico del legislatore rispetto

alla contrattazione collettiva e in particolare proprio al“c.c.n.l. del comparto Università …”, che, con la sua

naturale dinamicità “è stata in grado di tener conto delprogressivo sviluppo dei protocolli di cura per le gravi

patologie, e in particolare delle cosiddette terapiesalvavita con i loro pesanti effetti invalidanti (…) Né può

affermarsi - come prospettato dalla difesa dello Stato - chei princìpi di cui agli artt. 9 e 33 Cost., trattandosi, nel

caso di specie, di personale docente universitario,impedirebbero una così prolungata assenza dal servizio. È vero,

infatti, che i valori protetti da questi articoli sonomeritevoli della massima considerazione, ma non possono

costituire un ostacolo alla stabilità del rapporto dilavoro”.

La giurisprudenza di legittimità, con orientamento ormaiconsolidato, ha inoltre precisato che se è vero che la

nozione di handicap/disabilità non è coincidente con lo statodi malattia, oggetto della regolazione contrattuale

collettiva applicata al rapporto ai fini del computo delperiodo di comporto rilevante ai sensi dell'art. 2110 c.c.,

ciò non significa che essa sia contrapposta a tale stato, chepuò esserne tanto causa quanto effetto, e le cui

interazioni devono essere tenute in considerazione nellagestione del rapporto di lavoro. In questo senso,

l’applicazione al lavoratore disabile dell’ordinario periododi malattia rappresenta - anche alla luce della

giurisprudenza della

Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v. ex multis sentenzadel 18 gennaio 2018, causa C 270/16) - una forma

di discriminazione indiretta, atteso che egli, rispetto allavoratore non disabile, “è esposto al rischio ulteriore di

assenze dovute a una malattia collegata alla sua disabilità,e quindi soggetto a un maggiore rischio di accumulare

giorni di assenza per malattia e di raggiungere i limitimassimi di cui alla normativa pertinente” (cfr. da ultimo

Cass. n. 9095/2023).

Ciò posto, nel caso di specie dalla documentazione in attirisulta che già con certificato rilasciato dall’Azienda

Sanitaria Provinciale di Messina in data 23 aprile 2015 -pacificamente trasmesso alla datrice di lavoro - era stato

accertato che la ricorrente, seguita dall’A.S.P. a far datadal 16 aprile 2014, si fosse sottoposta a “cheratoplastica

perforante terapeutica” all’occhio sinistro a causa di“infezione d’Azantamoeba”, grave patologia richiedente

“terapie parzialmente invalidanti e ulteriori interventichirurgici”.

Il necessario ricorso a tali terapie è stato confermato daisuccessivi certificati medici rilasciati dalla stessa Azienda

e regolarmente trasmessi all’Università a far data dal 7febbraio 2015. Con i verbali INPS del 25 luglio 2017 e del

31 luglio 2018, inoltre, la FV è stata riconosciuta invalidacivile con riduzione permanente della capacità

lavorativa in misura pari all’80% a decorrere dal 31 luglio2018, nonché ipovedente medio grave ai sensi dell’art. 5

l. n. 138/2001 (“1. Ai fini della presente legge, sidefiniscono ipovedenti medio-gravi: a) coloro che hanno un residuo

visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi onell'occhio migliore, anche con eventuale correzione; b) coloro il

cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50 percento”).

Ne deriva che le assenze per malattia cumulate dallaricorrente non sono computabili quali giorni di malattia ai

fini del calcolo del periodo di comporto, in quanto tutteconnesse alla grave patologia invalidante e documentate

da certificazione medica tempestivamente - e pacificamente -trasmessa alla datrice di lavoro in formato cartaceo.

Dagli atti emerge, invece, che l’Amministrazione a decorreredal 1 maggio 2019 ha proceduto ad operare nei

confronti della AB la riduzione stipendiale del 10% fino al19 agosto 2019 (per un totale di n. 90 giorni di

malattia retribuita al 90%) e del 50% fino al 14 febbraio2020 (per complessivi n. 180 giorni), fino alla totale

privazione della retribuzione per ulteriori n. 255 giorni al31 ottobre 2020 (cfr. elenco assenze prot. n. 0101815

del 22 ottobre 2020 allegato alla memoria della resistente).

Con le note depositate per l’udienza del 16 marzo 2021 laricorrente ha dedotto che a seguito della notifica del

provvedimento emesso in via cautelare, l’Università haprovveduto alla corresponsione della retribuzione a far

data dal mese di dicembre 2020 (cfr. cedolini per i mesi didicembre 2020, gennaio e febbraio 2021), ma non gli

arretrati maturati.

La convenuta va dunque definitivamente condannata a pagare infavore di AB l’intera retribuzione mensile lorda

dovuta e non versata per il periodo 14 febbraio – 30 novembre2020, nonché la differenza sugli emolumenti

parzialmente corrisposti a decorrere dal 1 maggio 2019 finoal 14 febbraio 2020, in applicazione dell’art. 35,

comma 14, c.c.n.l. di comparto, il tutto oltre interessilegali dal dovuto al soddisfo, senza cumulo con la

rivalutazione monetaria in applicazione dell’art. 22, comma36, legge n. 724/1994.

3.- Ne consegue altresì l’obbligo per l’Università dipredisporre i ragionevoli accomodamenti atti a consentire alla

lavoratrice la ripresa, in sicurezza, dell’attivitàlavorativa. L’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE per la parità di

trattamento in materia di occupazione e di condizioni dilavoro dispone, infatti, che “per garantire il rispetto del

principio della parità di trattamento dei disabili, sonopreviste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di

lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delleesigenze delle situazioni concrete, per consentire ai

disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avereuna promozione o perché possano ricevere una formazione, a

meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore dilavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale

soluzione non è sproporzionata allorché l'onere è compensatoin modo sufficiente da misure esistenti nel quadro

della politica dello Stato membro a favore dei disabili”.

Il d.lgs. n. 216/2003, nel dare attuazione alla citatadirettiva, ha stabilito, tra l'altro, all’art. 3 che il principio di

parità di trattamento senza distinzione di religione,convinzioni personali, handicap, età, nazionalità e

orientamento sessuale “si applica a tutte le persone sia nelsettore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela

giurisdizionale” con specifico riferimento anche all’area“occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli

avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni dellicenziamento, la salute e la sicurezza, il reintegro

professionale e il ricollocamento”

In seguito alla condanna dell’Italia da parte della Corte diGiustizia dell’Unione Europea per l’inadempimento

alla citata direttiva (sentenza 4 luglio 2013, C-312/2011,Commissione Europea/Repubblica Italiana), il d.l. n.

76/2013, conv. con modif. dalla l. n. 99/2013, ha poiinserito nel corpo del menzionato art. 3 d.lgs. n. 216/2003,

il comma 3 bis, in applicazione del

quale “Al fine di garantire il rispetto del principio dellaparità di trattamento delle persone con disabilità, i datori

di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottareaccomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione

delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità,ratificata ai sensi della L. 3 marzo 2009, n. 18, nei

luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilitàla piena eguaglianza con gli altri lavoratori. I datori di

lavoro pubblici devono provvedere all'attuazione del presentecomma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza

pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentalidisponibili a legislazione vigente”.

E nella specie, nella visita del 25 luglio 2017 laCommissione Medica per l’accertamento dell’handicap del

Centro Medico Legale INPS di Messina ha già riconosciuto laAB soggetto portare di handicap in situazione di

gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n.104/1992 (sicchè non è necessaria alcuna ulteriore indagine al

riguardo) e l’U.O. di Oftalmologia dell’A.S.P.

di Messina ha dichiarato nell’aprile 2015 che la stessa, perla ripresa in sicurezza della prestazione lavorativa,

necessita di “ambiente lavorativo privo di ostacoli e dipolveri per il pericolo d’infezioni e con luce soffusa per la

spiccata fotofobia. L’uso del Vdt è limitato a brevissimiperiodi di tempo e con pause frequenti” (cfr. all. n. 4 al

ricorso).

Mentre la convenuta si è limitata a evidenziare in memoria,quanto alla richiesta di ragionevoli accomodamenti

formulata dall’istante, di non aver mai manifestato unavolontà in senso contrario, ma di attendere eventuali

comunicazioni da parte della dipendente in ordine al suoeventuale rientro in servizio; ha aggiunto di aver

richiesto nell’agosto 2020 la visita medica collegiale per lastessa, ai sensi dell’art. 3, comma 3, lett. a) del d.P.R. n.

171/2011, ma non ha prodotto poi il relativo verbale né hacomunicato il suo esito.

4.- Non può, invece, trovare accoglimento la domanda inerenteal risarcimento del danno non patrimoniale “per

la sofferenza psico-fisica e alla dignità della persona”subito dalla AB, poiché genericamente formulata in ricorso

e priva di qualunque riscontro probatorio, trattandosi invecedi danno conseguenza, non rinvenibile in re ipsa

nell’illegittimo comportamento della P.A. (v. Cass. S.U. n.26972/2008).

5.- La controvertibilità della questione e il parzialeaccoglimento della pretesa giustificano la compensazione per

1/3 delle spese di entrambe le fasi del giudizio, che per larestante parte seguono la soccombenza e ai sensi del

D.M. n. 55/2014 e s.m.i. si liquidano, tenuto conto delvalore e dell’attività svolta, in (1.076 cautelare + 4.918

merito =) 5.994 euro, con distrazione ex

art. 93 c.p.c..

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulterioreistanza disattesa, condanna l’Università degli Studi di

Messina:

1) a predisporre i ragionevoli accomodamenti atti aconsentire a AB, affetta da handicap grave, la ripresa in

sicurezza dell’attività lavorativa;

2) a corrisponderle l’intera retribuzione mensile lordadovuta e non versata per il periodo 14 febbraio - 30

novembre 2020, nonché la differenza dovuta sugli emolumentiparzialmente corrisposti a decorrere dal 1 maggio

2019 fino al 14 febbraio 2020, il tutto con gli interessi daldovuto al soddisfo;

3) a rimborsarle due terzi delle spese del giudizio,liquidati in complessivi 5.994 euro, oltre spese generali, iva e

cpa, che distrae in favore dei procuratori antistatari inepigrafe indicati; compensa il resto.

Messina, 4.10.2023

Il Giudice del lavoro

Valeria Totaro

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